Il segreto del riccio

di Claudio Merini e Donatello Giannino

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– Salve dottore, oggi non avevo proprio voglia di venire. Sente che caldo?! Non si riesce neanche a respirare. Fortuna che qui c’è un ventilatore, almeno circola un po’ d’aria. Ma lei non sente questo caldo?

Il paziente si sdraia sul lettino.

– Beh, sì lo sento anch’io. Ma è sicuro che è solo per il caldo che non aveva voglia di venire?

– Certo dottore; quando fa molto caldo mi capita di non avere voglia di fare e di dire nulla. (Pausa). Ma perché lei mi fa sempre domande così… mm, non saprei, mi verrebbe da dire così dirette, mettendo in discussione ciò che le dico? Non si fida? Se le ho detto che non mi andava di venire per il caldo, perché dubita? È da sempre così. Mio padre, mia madre, mia sorella, i miei amici, la mia ragazza; tutti coloro che mi circondano non si accontentano mai di ciò che dico loro. E questo mi fa incazzare, e non poco. Lei lo capisce vero?

– Sì, lo capisco. Certo è strano che tutti quelli che la circondano non si accontentino di ciò che dice.

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La voce del silenzio

di Adele Lonigro

Mi chiedo come mai a volte si avverta il bisogno di dispensare futili parole, di riempire tutto ciò che ci circonda e di capire tutto quello che accade.

Forse non tolleriamo il silenzio e quello che potrebbe nascere da questo corpo informe?

Il silenzio ci circonda, il silenzio è necessario…è la base di ogni comunicazione.

“Il silenzio precede la parola come la vita dalla morte” (Reik, 1927).

Dar vita al silenzio concede l’alternarsi di voci, concede uno spazio all’altro, spesso negato dalla nostra tendenza a saturare tutto con il nostro essere ingombranti, con il nostro fagocitare l’altro: incapaci di ascoltare non solo l’altro ma noi stessi.

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Il silenzio, invece, deve accompagnare l’ascolto per avviare un processo di conoscenza: occorre un tempo e uno spazio per creare un legame.

Spesso le parole saturano lo spazio mentale e lo spazio comunicativo.

Per esorcizzare questo tradimento bisogna darsi un tempo, un tempo altro, che permetta la realizzazione di ciò che non ha avuto luogo… il tempo del non detto: il non parlante.

“In silenzio ho scritto queste parole, un silenzio che mi permetteva di percorrere strade a me sconosciute, i labirinti della mia mente, non facendomene dominare, perdermi…… ma ascoltando gli echi della mia silenziosa anima mi sono lasciata trasportare dal mio sentire. A volte mi sei amico come oggi, altre mi impedisci di respirare… ma sempre mi affascini con le tue mille forme.” Adele Lonigro

Il silenzio è voce, un coro di voci, difficile da conoscere, da riconoscere e da tradurre.

Ogni analista sa che il silenzio è tutt’altro che silente.

In analisi il silenzio dei pazienti, come il nostro, è in bilico tra il desiderio di prendere corpo e la tendenza ad affogare in se stesso.

Il silenzio dell’analista

Il silenzio dell’analista configura la capacità negativa dell’atto analitico.

Lacan designa il posto occupato dall’analista come quello del morto, che acquista la sua consistenza dal far sorgere da altri posti, testimoniando l’esistenza di un altro luogo dove regna il silenzio: l’inconscio.

Silenziosamente l’analista mostra il luogo silente della psiche e allo stesso tempo lo convoca alla sua presenza.

Il silenzio dell’analista e la sua capacità negativa, così come suggerito da Bion, di restare in attesa, in assenza di memoria e desiderio, offre l’opportunità di far nascere nuovi significanti, senza mai immobilizzare alcun significato.

Il non sapere che il silenzio dell’analista a volte nasconde, si aggancia e fa posto alla verità dell’altro.

Se l’analista smette di muoversi nel proprio silenzio, difficilmente riuscirà a comprendere ciò che accade nell’altro.

Quando il silenzio perde il suo valore analitico, diventa un deposito, segno di un contenitore stracolmo, che impedisce al pensiero di nascere. In questo modo, l’analista a sua insaputa, si rende complice nell’aver occultato un cadavere, impedendone la ri-nascita.

Il silenzio del paziente

“Leggi col pensiero il mio silenzio,

 e a bassa voce,

 benché onde di parole ci sovrastino sempre…

 Disorientate dal mio rapido buongiorno…

 È arrivato il tempo

 di raccogliere pensieri

 allegri, tristi, dolci, amari.

 Ce ne sono tanti…

 Pochi sanno ascoltare anche il silenzio,

 sanno aspettare, capire, le silenti profondità che abitano in ognuno di noi”.

 Valentina Vallario

Il silenzio del paziente è sempre una comunicazione che di volta in volta va decifrata.

Sta alla capacità dell’analista di abitare i suoi silenzi, la possibilità di darne un senso.

L’analista deve essere in grado di ascoltare con il terzo orecchio: con il proprio mondo interno, con la propria dimensione estesica, per avere la possibilità di mettersi in ascolto della sensorialità del paziente, che un silenzio corporeo rivela.

La psicoanalisi inizialmente ha considerato il silenzio solo come una resistenza e un rifiuto della regola delle libere associazioni. Oggi sappiamo che un silenzio può nascondere diversi significati.

Può sì rappresentare una resistenza in cui il paziente fa il vuoto nella mente per impedire a qualcosa di emergere alla coscienza ma può rappresentare altro.

“Avvolta tra le braccia di Morfeo che mi stringe forte a sé, sprofondo…

Finalmente sento la mia mente che si libera, fino a svuotarsi completamente…

Mi sembra di  percorrere il mare su di una zattera di frasche,

molto lentamente…

Un brivido di infinito sfiora i miei sensi… 

Resto con me stessa: io ed il mio silenzio…

riecheggia tra le mura qualche ricordo, che mi bombarda gli occhi…

E poi di nuovo il buio!

Tutto gira veloce intorno a me…

ora non sento più nulla…

Mi imbatto contro un vortice, ma sono così debole, troppo debole…che non resisto…

È troppo tardi ormai… Il silenzio dell’ebbrezza mi ha rapita! ”

Spesso sottende una difesa nei confronti dell’analista, quando il paziente in preda all’odio e alla rabbia ha paura di distruggere l’oggetto buono, e perciò si impedisce di parlare.

Ancora il silenzio può sottacere la paura di perdere qualcosa attraverso la parola.

Ferenczi, ad esempio, interpretava il rifiuto di parlare come la manifestazione di un desiderio erotico-anale. Il paziente taceva quando avvertiva la necessità di dover custodire gelosamente un tesoro, che analogamente agli escrementi, doveva essere trattenuto.

Ma il silenzio è anche l’effetto di una parola in attesa, un momento di riflessione, di regressione, di contatto con se stessi e di simbolizzazione.

In questo caso il silenzio non è il luogo contrapposto alla parola, ma il luogo dove essa germina.

È nel silenzio che si recuperano le esperienze arcaiche, in un fuori tempo dove qualcosa non ha avuto luogo psichico, perché non vi era una mente, e soprattutto non c’era un linguaggio per dire di quell’esperienza che resta nel corpo, nella memoria sensoriale.

È necessario allora distinguere, come ha fatto Lacan parlando di rimozione e forclusione, il silenzio del tacere, in cui si tenta di tenere lontano qualcosa che già esiste, dal silenzio del sileo, in cui si attende l’emergere di qualcosa che non è mai accaduto, che non ha avuto la possibilità di avere luogo, e di cui ora se ne può fare un’esperienza.

BIBLIOGRAFIA

BION W.R. (1970), Attenzione e interpretazione. Armando, Roma, 2002.

FERENCZI S. (1958), Diario clinico. Raffaello cortina, Milano 2004.

FREUD A. (1961).  L’io e i meccanismi di difesa. G. Martinelli & C. s.a.s., Firenze, 1997.

NASIO J.- D. (1987), Il silenzio in psicoanalisi. Edizioni Magi, Roma, 2005.

PONTALIS J.B. (1997), Questo tempo che non passa. Borla, Roma 1999.

RESNIK S. (1990),  Spazio mentale. Sette lezioni alla Sorbona. Boringhieri, Torino, 2003.

RESNIK S. (1972) Persona e psicosi. Il linguaggio del corpo. Einaudi, Torino, 2001.

Sogno o son desto?

di Giustino Galliani.

“Mi trovavo in una tipografia illuminata da una luce bianca ed intensa”. Osservo la bianca con la volta del soffitto. La linea comincia ad ondulare, come se fosse un serpente, un’onda, scintillante con i riflessi della bianca luce.

Il movimento ondulatorio verso l’alto, sempre più intenso, fa sì che qualcosa di incandescente spicchi un salto verso il pavimento. Provo un’intensa emozione:sembra un incrocio tra un montone ed una capra, con riccioli di lana che gli ricoprono la testa. Il muso marrone e gli occhi fissi evocano una sfinge.

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Non è un paese per specchi

di Salvatore Agresta

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L’ingranaggio della nostra umana esistenza è refrattario a una cosa soltanto: l’unità.
Martin Buber

Guerre intestine

È possibile individuare nel bambino i segni di un’operazione precorritrice del pensiero? È pensabile che un feto possa cercare di liberarsi da sensazioni spiacevoli, ad esempio cambiamenti di pressione nel mezzo acquoso? Vi è cioè modo di ipotizzare qualcosa che, prima del trauma della nascita e indipendentemente dalla reverie materna, inauguri una forma di elaborazione pre-natale, un protopensiero? Continua a leggere

Il paradosso psicoanalitico

di Vincenzo Tozzi

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“Sono triste là fuori , nella strada dove si accumulano le casse.[…] Ma tento di dare l’idea di ciò che sento, un miscuglio di varie specie di io e della strada estranea che, proprio perché la vedo, anch’essa, in modo sotterraneo che non so analizzare, mi appartiene, fa parte di me.”
(Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine”)

Consideriamo il fatto che la psicoanalisi è una scienza all’interno della quale, l’oggetto e il soggetto della conoscenza sono identici. C’è una mente (dell’analista) che osserva un’altra mente (dell’analizzando).  Continua a leggere

L’eroe, la fanciulla e il mostro. Identità, alterità e alienità.

di Alberto Panza

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Il Novecento ha lasciato un’eredità scomoda e difficile da gestire. Attraverso una serie di passaggi -variamente definiti come “crisi dei fondamenti”, “pensiero debole”, “decostruzionismo”- sono stati relativizzati molti principi che sembravano assiomatici e indiscutibili, tra cui quelli posti a fondamento di un pensiero della differenza a proposito di femminilità e mascolinità. Continua a leggere

La relazione

di Maria Orlandi Scati

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Come tutti i segni linguistici, il termine relazione è polisemico e assume quindi significanza diversa a seconda del testo in cui è inserito. Ritengo pertanto utile sottolineare uno specifico significato restringendone il campo con l’aggiunta dell’aggettivo analitico alla parola relazione. Ciò consente per altro una più precisa definizione dell’ambito di mia competenza.  Continua a leggere