di Giustino Galliani
All’ amico fraterno Sergio De Risio
La domanda che mi pongo e vi pongo è la seguente:
Impareranno gli uomini a sviluppare una umanità con un grado di civiltà superiore?
Per dirla più semplicemente: impareranno gli uomini a essere umani?
Questa domanda intrisa di speranza e pessimismo chiude il libro – testamento di
Sergio De Risio “Derive del Narcisismo” (2004, p.p. 130) che così si sviluppa “un sogno specie specifico e persino ricorrente che non toglie che vada sor-vegliato, monitorizzato, anche durante il giorno. Si vedrà.”
Ma questa domanda contiene un processo di interpenetrazione tra sogno, monologo e dialogo che transita nel nostro preconscio, nella cui fucina si cerca metaforicamente di rendere dicibile l’indicibile.
Per meglio dire, là dove si cerca si strappare un lembo di indicibilità per consegnarlo al monologo e al dialogo.
Narciso e Edipo sono i capisaldi dello sviluppo e dell’ imbarbarimento della civiltà.
Rappresentano gli Enti di riferimento della domanda posta all’inizio del mio scritto.
La clinica ci insegna che questi Enti non possono essere concepiti come entità a sé stanti, ma come entità in relazione, pur se conflittuale, tra loro.
Se manca uno dei due (Enti) non vi è processo psichico, non vi è vita.
Il dialogo, nella sua dimensione interiore e sociale, non può che svolgersi nell’area definita da Winnicott “intermedia” o “area transizionale” o “area del gioco”.
Se è vero che bisogna essere più intransigenti con le fantasie di volontà di potenza dell’uomo è anche vero che si può essere più tolleranti con Eros.
Perché se è l’amore che tutto collega, che è principio e causa del movimento, esso non può favorire chiusure. Eros al contrario è fonte di infinite aperture, pur se indicibili.
Nel narcisismo negativo si esprime simultaneamente il bisogno dell’altro e la reazione a tale bisogno.
La frustrazione del bisogno dell’altro è trasformato nella pretesa di trionfo sull’altro.
L’alterità è svalorizzata e la soggettività narcisistica esaltata.
Nella clinica siamo sempre alla ricerca dei modi e delle forme per far saltare quel dispositivo automatico, solidificato e cristallizzato, che fa scattare la pretesa narcisistica di cancellazione dell’altro.
L’area “intermedia” del gioco sembra essere lo spazio elettivo dove l’analista, andando verso il paziente e tornando su di sé, ha modo di informarsi e di elaborare, sulla propria verticale, una modulazione adeguata di presentificazione della sua esistenza.
E’ suggestiva a riguardo una metafora che ho preso a prestito da Sandro Panizza (2005, p.p. 749): come due figure di tango i due sistemi (del paziente e dell’analista) si allacciano e si provocano reciprocamente. L’arretramento dell’ analista crea vuoto. Mette il paziente nella condizione di continuare in solitario la propria danza, senza l’attrito del confronto con l’alterità, forse sino a cogliersi incongruo: potrebbe capitare allora che il paziente debba rivolgersi a se stesso, per interrogarsi sul significato.
Nell’area del gioco i due Enti hanno modo di informarsi reciprocamente e possono guidare l’individuo verso un modello di vita “ideale” il più possibile vicino al “reale”.
Si tratta quindi di contemplare la possibilità che l’essenzialità di ognuno di noi, anziché essere luogo di chiusura, rappresenti la fonte di infinite aperture (pur nella sua indicibilità).
Se questo è vero per una mente complessa come quella umana, figuriamoci, come si chiedeva Sergio, quanto possa esserlo per l’ancora più complessa rete di relazioni problematiche che chiamiamo “sociale” anch’esse ad alto livello di instabilità.
La cruna dell’ago dove la domanda iniziale deve inevitabilmente passare è quella della assunzione di responsabilità del limite dell’esistenza.
La caducità della vita dovrebbe porre il problema della responsabilità verso l’umanità.
Non ho intenzione di ripercorrere il problema della morte e della sua non rappresentabilità inconscia.
L’inconscio non è dotato delle coordinate spaziali-temporali.
Ma intendo porre la questione dell’essenzialità del nostro Sé.
Nel migliore dei casi noi siamo sufficientemente attrezzati a vivere e ad elaborare un lutto quando questo vissuto è in linea con l’evoluzione della specie.
Sappiamo altrettanto bene che questa presunta capacità è molto instabile, se non viene addirittura meno, quando viene a mancare ciò che rappresenta il futuro, come lo è un figlio.
Ma siamo ignoranti del momento della nostra fine.
Il limite della nostra esistenza non contempla riparazioni e reinvestimenti, come quando perdiamo una persona cara.
Ma l’essenzialità della nostra persona aspira ad una continuità oltre la nostra persona.
La continuità del nostro Sé oltre la nostra persona avviene attraverso la continua integrazione del passato che permette fino alla fine la crescita della mente.
Cito De Masi (2002, p.p. 117):
Questa continua integrazione del passato, che diventa significativa nella misura in cui si accetta il mistero della propria personale caducità, permette di salvare il Sé e di proiettarlo nel futuro degli altri, evitando il senso catastrofico del dissolvimento nel nulla della non-esistenza.
Senza l’elaborazione autentica della fine del nostro Sé personale, la proiezione negli altri costituirebbe solo una difesa idealizzante al servizio del desiderio narcisistico di sopravvivere.
La riparazione, in vista della fine del nostro Sé personale, può essere fatta solo per via dell’integrazione del passato, tramite proiezioni del nostro passato nel futuro, nel futuro degli altri.
Sergio De Risio è stata la personificazione, il teatro dove si è svolta compiutamente la ricerca continua del dialogo tra Narciso e Edipo.
Egli ha lavorato attraverso se stesso, affinché la domanda posta all’inizio, ma che lui ha posto alla fine del suo ultimo libro, fosse rilanciata perché persone che hanno goduto dell’essenzialità della sua persona se ne assumessero con piacere la responsabilità.
Piacere perché è una responsabilità verso la vita e amore verso l’umanità.
BIBLIOGRAFIA
DE MASI, F. (2002), Il limite dell’esistenza. Torino: Bollati Boringhieri,
DE RISIO, S. (2004), Derive del narcisismo. Milano: Franco Angeli.
GALLIANI, G. (2005), Un dialogo possibile tra Narciso e Edipo. Impronte, n.9
PANIZZA, S. (2005), Narciso l’imprendibile. Rivista di Psicoanalisi, n.3.
* Relazione presentata al Convegno “Confini del linguaggio: Sergio De Risio tra psicopatologia, neuroscienze e poesia”, che si è svolto a Chieti il 3 e 4 Dicembre 2005.