Solo un altro passo

di Sandra Granchelli

Si era perso.

E non sapeva quando fosse iniziato.

Ad un certo punto qualcosa si era spento.

Non provava più interesse per niente, nulla lo faceva più emozionare, ridere, godere, nulla lo faceva più arrabbiare.

Era come se la tristezza avesse risucchiato nel suo grigiore tutta la sua vita interiore.

Certi giorni per andare avanti pensava solo ai suoi piedi: un passo dopo l’altro, pensava, devo solo concentrarmi sui passi, che se alzo lo sguardo e vedo – o non vedo – dove sto andando, mi fermo; un passo dietro l’altro, conta solo riuscire a fare il prossimo passo, e poi il prossimo, e poi il prossimo ancora.

Accarezzò la scatoletta della paroxetina nella sua tasca. Sapeva che pochi milligrammi al giorno lo avrebbero salvato dalla sua disperazione, almeno per un po’, ma si limitava a guardare le bianche compresse del farmaco: gli bastava  l’idea di avere ancora una via di uscita, per ora. Più che bastargli, se lo faceva bastare, aveva degli stupidi pregiudizi riguardo alle stampelle chimiche. Preferiva, per ora, affrontare la tristezza a mani nude, molto virilmente. Non sapeva se ci sarebbe riuscito. Eppure, da qualche anno, si era convinto che la coscienza, il pensiero, le emozioni, i sentimenti, tutto ciò che riteniamo ci distingua dagli altri animali rendendoci Uomini (e Donne), creature predilette da Dio – per chi a Dio ci credeva ancora – fossero davvero solo il risultato di una serie di reazioni neurochimiche quasi identiche a quelle che avvengono nel sistema nervoso dei topi, forse appena un po’ più complesse.

Serotonina, era questo che forse gli mancava – avrebbe dovuto studiare meglio per gli esami di biologia e neuroanatomia, ma ai tempi dell’università snobbava certe spiegazioni meccanicistiche dell’attività umana. Serotonina, doveva essere questo il neurotrasmettitore responsabile della sua tristezza.
Ed era rassicurante poter pensare alla propria tristezza in termini così concreti.

M. era la quarta paziente della giornata, l’ultima prima dell’ora di pranzo. Quarantacinque minuti a paziente, loro sdraiati sul lettino, lui a fianco, un po’ defilato, in modo da non poter essere visto; sessanta euro per chiacchierare con lui, con ricevuta.

M. parlava del suo amante ed era un anno che non faceva altro che parlare del suo amante.

– Non avrei dovuto chiamarlo, vero?

Non lo so se avresti dovuto chiamarlo, avrebbe voluto dirle, e non me ne frega niente a dire il vero.

Da una vita tentava di capire se stesso e gli altri e siccome da solo non ci era riuscito, si era affidato alla psicologia e per un po’ ci aveva creduto nella possibilità di comprendere, e di guarire.

Ora non più.

Vattene M., vattene via e non ti affidare più a me che non so dove portarti, che non so dove andare, che non so aiutare neanche me stesso, che non so se avresti dovuto chiamare o no il tuo amante e neanche me ne importa e non posso fare più niente per te! Questo avrebbe dovuto dirle.

Poi guardò i suoi piedi. Un passo dopo l’altro, pensò, devo fare solo un altro passo, pensa solo al prossimo passo.

Si ricordò di quel computer, di cui non sapeva più il nome, che era stato programmato per assemblare frasi ripentendo pezzi di conversazione appena “ascoltati” e la gente che parlava con lui si sentiva ascoltata e compresa anche se sapeva di aver parlato solo con una macchina e la macchina sembrava pensasse e ascoltasse e comprendesse, anche se era solo una macchina sorda e cieca e fredda .

– Non avrebbe dovuto chiamarlo? E’ questo che crede?

Disse.

M., forse, si sentì compresa. Continuò a parlare del suo amante.

Lui continuò a giocare con la scatoletta della paroxetina nella sua tasca.

Ed a concentrarsi sui suoi piedi.  

L’autoinganno del terapeuta

autoinganno-terapeuta“La verità non si può insegnare… il paradosso dei paradossi è che il contrario della verità è ugualmente vero”

Siddartha, Hermann Hesse.

Arriva una persona in studio; la accolgo, la faccio sedere ed inizio ad ascoltarla. Ho la mente sgombra, cerco di attuare la cosiddetta epoché; mi pongo con assoluto rispetto nei confronti di ciò che ella mi sta dicendo. Poi ad un tratto dice qualcosa che suscita in me un’associazione, mi sembra che quello di cui sta parlando lo abbia già sentito, ho l’impressione che il suo vissuto possa comprendersi e spiegarsi secondo delle dinamiche che qualcuno prima di me ha studiato e validato, utilizzando, più o meno, principi epistemologici che ne danno credibilità. Continua a leggere

Il sistema che non va in crisi. Come affrontare i problemi della modernità con i metodi del ’29

Se i fatti non corrispondono alla teoria, la teoria è sbagliata.
G. Galilei

Se i fatti non si accordano con la teoria, tanto peggio per i fatti.
G. W. F. Hegel

crisi

Il sistema economico è in crisi e con esso l’assetto stesso della nostra società: la società liberale, democratica, capitalistica, fondata sullo stato di diritto e tendenzialmente progressista. Dopo circa vent’anni dalla fine di un altro grande sistema economico, il socialismo reale, anche il capitalismo liberale vacilla. Una delle tante ragioni che hanno determinato questo fenomeno credo risieda nel fatto che questi grandi sistemi economici non riescono più ad interpretare, a spiegare e ad organizzare la realtà e quindi la vita degli uomini. La loro intrinseca staticità li ha portati a non cambiare con il passare degli anni ma piuttosto a perpetuarsi e in un certo senso a crogiolarsi nella convinzione di possedere la verità, di essere, ognuno per motivi diversi, l’unico sistema in grado di sopravvivere e funzionare correttamente.  Continua a leggere

Sulla necessità di attraversare la turbolenza emotiva per la crescita mentale

belisario

La parola, ma anche i silenzi, in analisi diventa contenitore di mondi da esplorare, i termini che utilizza l’analizzando piuttosto che essere presi come qualcosa di già noto, vanno aperti, perché per quel soggetto possono stare ad indicare qualcosa di unico, di specifico e per la terapia di molto prezioso. La persona col procedere dell’analisi, si accorge che nella seduta niente viene dato per scontato e questo invito ad aprire forse porterà, col tempo, a quei piccoli cambiamenti catastrofici che sono così preziosi nell’analisi duale (e di gruppo) perché generano cambiamenti di prospettiva, una crescita sul piano del pensiero e della vita emotiva. Questo aprire, nel corso del tempo, manda in crisi un assetto interno che si può essere “istituzionalizzato”.   Continua a leggere