Uno sguardo dal di fuori

ovvero il bisogno di potere

di Claudio Merini

Il vero contatto fra gli esseri si stabilisce solo con la presenza muta, con l’apparente non-comunicazione con lo scambio misterioso e senza parole che assomiglia alla preghiera interiore.

(Emil Cioran)

Oggi non si vede ancora nessuno. Strano. Lui passeggia avanti e indietro come fa di solito quando è in attesa. È abbastanza infastidito dai ritardi. La sua origine nordica si fa ancora sentire. Ecco, lo sapevo, ha preso le palline da giocoleria e prova la cascata col passaggio esterno, quella che gli riesce meno bene. Non credo che i pazienti se lo immaginino in questa veste. Gli viene un’aria da ragazzino quando fa volare in aria le palline, a dispetto delle giunture arrugginite. Ha imparato due anni fa. All’inizio occupava tutti gli intervalli tra un paziente e l’altro per arrivare a padroneggiare le prime figure. Si vede che patisce la sedentarietà del suo lavoro e magari rimpiange di non aver fatto una carriera circense. Oggi non è in grande forma: i movimenti non sono abbastanza sciolti e le palline finiscono spesso a terra. Ormai lo conosco bene, sono più di quindici anni che lo osservo con la stessa attenzione con cui lui osserva me. Io invece sono tutto bagnato e mi sento rivitalizzato. Questa è una stagione florida per me, dopo l’aridità estenuante dell’estate. Le piante tornano a produrre foglie e fiori, come in una seconda lieve primavera, l’odore della terra umida mi pervade e i colori del mio vestito si fanno più intensi sotto la luce moderata del sole. Quanto diventa più facile la vita vegetale col calare delle temperature, prima del lungo riposo invernale! Queste estati sempre più calde sono estenuanti. Tutti i miei ospiti soffrono, si stingono, si prosciugano. E gli uomini e le donne che vengono qui, anche loro, si vede, sono messi a dura prova.

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Improvvisazioni guidate ad arte. Intervista con contrattempo a Laura Grignoli.

di Salvatore Agresta

immagine Artelieu

            Schiacciati dal dominio della parola-strumento, troppo spesso confusa col linguaggio (e con i suoi svariati registri). Questa consapevolezza da tempo accompagna la mia partecipazione all’avventura di Impronte. Gli amici e colleghi della redazione, chi più chi meno, mi sembrano condividere la sensazione da “vestito troppo stretto” di una psicoterapia professionalizzata, standardizzata e regolamentata come una qualsiasi altra tecnica d’apparato, attività ove regna la parola-strumento che si vuole efficace, efficiente, rispondente, risolutrice (“parole sante…”).  Continua a leggere