La voce del silenzio

di Adele Lonigro

Mi chiedo come mai a volte si avverta il bisogno di dispensare futili parole, di riempire tutto ciò che ci circonda e di capire tutto quello che accade.

Forse non tolleriamo il silenzio e quello che potrebbe nascere da questo corpo informe?

Il silenzio ci circonda, il silenzio è necessario…è la base di ogni comunicazione.

“Il silenzio precede la parola come la vita dalla morte” (Reik, 1927).

Dar vita al silenzio concede l’alternarsi di voci, concede uno spazio all’altro, spesso negato dalla nostra tendenza a saturare tutto con il nostro essere ingombranti, con il nostro fagocitare l’altro: incapaci di ascoltare non solo l’altro ma noi stessi.

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Il silenzio, invece, deve accompagnare l’ascolto per avviare un processo di conoscenza: occorre un tempo e uno spazio per creare un legame.

Spesso le parole saturano lo spazio mentale e lo spazio comunicativo.

Per esorcizzare questo tradimento bisogna darsi un tempo, un tempo altro, che permetta la realizzazione di ciò che non ha avuto luogo… il tempo del non detto: il non parlante.

“In silenzio ho scritto queste parole, un silenzio che mi permetteva di percorrere strade a me sconosciute, i labirinti della mia mente, non facendomene dominare, perdermi…… ma ascoltando gli echi della mia silenziosa anima mi sono lasciata trasportare dal mio sentire. A volte mi sei amico come oggi, altre mi impedisci di respirare… ma sempre mi affascini con le tue mille forme.” Adele Lonigro

Il silenzio è voce, un coro di voci, difficile da conoscere, da riconoscere e da tradurre.

Ogni analista sa che il silenzio è tutt’altro che silente.

In analisi il silenzio dei pazienti, come il nostro, è in bilico tra il desiderio di prendere corpo e la tendenza ad affogare in se stesso.

Il silenzio dell’analista

Il silenzio dell’analista configura la capacità negativa dell’atto analitico.

Lacan designa il posto occupato dall’analista come quello del morto, che acquista la sua consistenza dal far sorgere da altri posti, testimoniando l’esistenza di un altro luogo dove regna il silenzio: l’inconscio.

Silenziosamente l’analista mostra il luogo silente della psiche e allo stesso tempo lo convoca alla sua presenza.

Il silenzio dell’analista e la sua capacità negativa, così come suggerito da Bion, di restare in attesa, in assenza di memoria e desiderio, offre l’opportunità di far nascere nuovi significanti, senza mai immobilizzare alcun significato.

Il non sapere che il silenzio dell’analista a volte nasconde, si aggancia e fa posto alla verità dell’altro.

Se l’analista smette di muoversi nel proprio silenzio, difficilmente riuscirà a comprendere ciò che accade nell’altro.

Quando il silenzio perde il suo valore analitico, diventa un deposito, segno di un contenitore stracolmo, che impedisce al pensiero di nascere. In questo modo, l’analista a sua insaputa, si rende complice nell’aver occultato un cadavere, impedendone la ri-nascita.

Il silenzio del paziente

“Leggi col pensiero il mio silenzio,

 e a bassa voce,

 benché onde di parole ci sovrastino sempre…

 Disorientate dal mio rapido buongiorno…

 È arrivato il tempo

 di raccogliere pensieri

 allegri, tristi, dolci, amari.

 Ce ne sono tanti…

 Pochi sanno ascoltare anche il silenzio,

 sanno aspettare, capire, le silenti profondità che abitano in ognuno di noi”.

 Valentina Vallario

Il silenzio del paziente è sempre una comunicazione che di volta in volta va decifrata.

Sta alla capacità dell’analista di abitare i suoi silenzi, la possibilità di darne un senso.

L’analista deve essere in grado di ascoltare con il terzo orecchio: con il proprio mondo interno, con la propria dimensione estesica, per avere la possibilità di mettersi in ascolto della sensorialità del paziente, che un silenzio corporeo rivela.

La psicoanalisi inizialmente ha considerato il silenzio solo come una resistenza e un rifiuto della regola delle libere associazioni. Oggi sappiamo che un silenzio può nascondere diversi significati.

Può sì rappresentare una resistenza in cui il paziente fa il vuoto nella mente per impedire a qualcosa di emergere alla coscienza ma può rappresentare altro.

“Avvolta tra le braccia di Morfeo che mi stringe forte a sé, sprofondo…

Finalmente sento la mia mente che si libera, fino a svuotarsi completamente…

Mi sembra di  percorrere il mare su di una zattera di frasche,

molto lentamente…

Un brivido di infinito sfiora i miei sensi… 

Resto con me stessa: io ed il mio silenzio…

riecheggia tra le mura qualche ricordo, che mi bombarda gli occhi…

E poi di nuovo il buio!

Tutto gira veloce intorno a me…

ora non sento più nulla…

Mi imbatto contro un vortice, ma sono così debole, troppo debole…che non resisto…

È troppo tardi ormai… Il silenzio dell’ebbrezza mi ha rapita! ”

Spesso sottende una difesa nei confronti dell’analista, quando il paziente in preda all’odio e alla rabbia ha paura di distruggere l’oggetto buono, e perciò si impedisce di parlare.

Ancora il silenzio può sottacere la paura di perdere qualcosa attraverso la parola.

Ferenczi, ad esempio, interpretava il rifiuto di parlare come la manifestazione di un desiderio erotico-anale. Il paziente taceva quando avvertiva la necessità di dover custodire gelosamente un tesoro, che analogamente agli escrementi, doveva essere trattenuto.

Ma il silenzio è anche l’effetto di una parola in attesa, un momento di riflessione, di regressione, di contatto con se stessi e di simbolizzazione.

In questo caso il silenzio non è il luogo contrapposto alla parola, ma il luogo dove essa germina.

È nel silenzio che si recuperano le esperienze arcaiche, in un fuori tempo dove qualcosa non ha avuto luogo psichico, perché non vi era una mente, e soprattutto non c’era un linguaggio per dire di quell’esperienza che resta nel corpo, nella memoria sensoriale.

È necessario allora distinguere, come ha fatto Lacan parlando di rimozione e forclusione, il silenzio del tacere, in cui si tenta di tenere lontano qualcosa che già esiste, dal silenzio del sileo, in cui si attende l’emergere di qualcosa che non è mai accaduto, che non ha avuto la possibilità di avere luogo, e di cui ora se ne può fare un’esperienza.

BIBLIOGRAFIA

BION W.R. (1970), Attenzione e interpretazione. Armando, Roma, 2002.

FERENCZI S. (1958), Diario clinico. Raffaello cortina, Milano 2004.

FREUD A. (1961).  L’io e i meccanismi di difesa. G. Martinelli & C. s.a.s., Firenze, 1997.

NASIO J.- D. (1987), Il silenzio in psicoanalisi. Edizioni Magi, Roma, 2005.

PONTALIS J.B. (1997), Questo tempo che non passa. Borla, Roma 1999.

RESNIK S. (1990),  Spazio mentale. Sette lezioni alla Sorbona. Boringhieri, Torino, 2003.

RESNIK S. (1972) Persona e psicosi. Il linguaggio del corpo. Einaudi, Torino, 2001.

Il silenzio del bianco

di Laura Grignoli

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Il bianco, che si ritiene spesso un non-colore, appare come simbolo di un mondo da cui tutti i colori, in quanto proprietà materiali e sostanze, sarebbero spariti. Questo mondo è talmente al di sopra di noi che non ce ne perviene nessun suono. Ne arriva un grande silenzio che ci appare rappresentato materialmente come un muro freddo all’infinito, insuperabile, indistruttibile. È perché il bianco agisce ugualmente su di noi, sulla nostra psiche, come un grande silenzio assoluto per noi. Riassume interiormente come un non-suono, che corrisponde sensibilmente a certi silenzi in musica; quei silenzi non fanno che interrompere momentaneamente lo sviluppo di una frase, senza marcarne il compimento definitivo. È un silenzio che non è morte, ma pieno di possibilità. Il bianco suona come un silenzio che potrebbe essere immediatamente compreso. È un nulla che è giovane o, più esattamente, un niente prima della nascita, prima dell’inizio. Aggiungerei piuttosto prima del ricominciare. (Dello spirituale nell’arte, W.Kandinsky)

Al Caffè del Silenzio i vetri sono doppi e tutti stanno seduti da soli o in due, lo impone la regola. La regola del Caffè del Silenzio è il silenzio. È un voto obbligatorio anche per le coppie. Non ci sono dolci e la musica è sotto la soglia dell’udibile, immaginaria. Ci vanno tutte le teste riscaldate dal dolore e dalla tristezza che con le parole non ce la fanno più. Dicono che vanno al Silenzio e incominciano a tacere sin  da casa. Il sangue, al Silenzio, ritorna al suo posto e riprende la giusta direzione. (G.Todde)

In questo caffè mi rifugio quando la compagnia è troppa. Quando i pensieri fanno troppo rumore. Ognuno ha il suo Caffè del Silenzio.

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Ritagli di silenzi

di Gabriella Marulli

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Le tematiche che vengono proposte non appartengono al gergo sistemico, dove le parole maggiormente usate sono confini, alleanza, triangolazione… a volte occorre pensare altre parole per tentare delle corrispondenze con il proprio modello di appartenenza. Anzi, l’idea di pensare il silenzio in ottica sistemica, mi consente una riflessione sull’uso che di fatto faccio di un tema che non afferisce in maniera diretta al proprio modello terapeutico ma alla propria indole e che diventa in qualche modo autoreferenziale al modo in cui uso il silenzio in stanza di terapia.  Continua a leggere

Il silenzio nella vita e nella psicoanalisi

di Massimo Belisario

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Dare voce al silenzio significa aprire un contenitore con molte sfumature, esso non attiene solo alla semplice assenza di parola, alla comunicazione non verbale ma assume significati diversi in base al contesto di riferimento. L’arte, un particolare linguaggio espressivo, utilizza il silenzio. Nella poesia la punteggiatura porta il silenzio tra le parole, nella musica il simbolo della pausa segnala l’importanza del silenzio per la melodia musicale. Nell’arte figurativa il silenzio prevale, essa è esclusa dalla parola e dal suono. Continua a leggere