Testo amarissimo quello di Frances nel quale non risparmia nessuno, nemmeno sé stesso. L’autore infatti fa una critica dell’intero sistema diagnostico e terapeutico della salute mentale. Egli è stato a capo della task force dell’American Psychiatric Asssociation che ha redatto il DSM 4, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali quindi parla da persona competente e informata di tutte le dinamiche e interessi che gravitano intorno a quel settore della medicina. Proprio il DSM 4, che sicuramente lo ha reso celebre a livello mondiale soprattutto tra gli operatori del settore, è oggetto di una critica lucida e a tratti spietata che evidenzia come si siano distorti concetti e scopi di un manuale diagnostico per “piazzare” diagnosi e relative cure. Frances spiega dettagliatamente le ragioni e l’iter professionale e scientifico che hanno portato alla quarta edizione del più noto testo di diagnostica psichiatrica. Egli parla delle influenze, delle pressioni che egli ed i suoi collaboratori hanno subito durante il lavoro e soprattutto descrive l’uso distorto che in seguito se n’è fatto. Questo ha avuto conseguenze negative sia a livello scientifico che clinico. L’autore infatti parla di inflazione diagnostica per indicare quel fenomeno secondo cui la stragrande maggioranza delle persone hanno, in un certo grado, un disturbo mentale da curare. Il libro parte con una lunga riflessione sul concetto di normalità e sul suo progressivo restringimento, tale da non esser più applicato ad alcun essere umano. Tendenza pericolosa perché se a livello esistenziale essere considerati “anormali” può anche essere ragione di vanto, di anticonformismo e di originalità, a livello sanitario può comportare non pochi problemi, andando ad alimentare quel fenomeno, estremamente rilevante negli ultimi decenni a ancor più presente con la 5 edizione del DSM, che è appunto l’inflazione diagnostica. Non mancano gli excursus storici rispetto alla figura del guaritore e una disamina delle “mode” diagnostiche, di quelle patologie cioè chehanno avuto grande clamore per un certo periodo storico e che poi sono finite nel dimenticatoio. L’autore infatti ci porta in un viaggio nel tempo, sintetico ma ben documentato, sul ruolo svolto dai vari operatore della salute mentale nel corso dei secoli e sulle varie “etichette” che sono state maggiormente utilizzate per descrivere coloro che erano fuori norma. In tempi odierni, quelle che maggiormente ritiene “abusate” sono tre: la sindrome da disattenzione ed iperattività, il disturbo bipolare e l’autismo. Il trade union tra queste è la grande e pervasiva campagna di marketing che le aziende farmaceutiche hanno promosso per poter vendere i loro farmaci. Se quest’opera fosse andata in stampa in questo periodo (2022 n.d.a.) sarebbe stata tacciata di antiscientismo e complottismo. Fances infatti descrive l’uso distorto della classificazione nosografica fatta da medici e psichiatri dalla “diagnosi facile” e parla delle pressioni subite affinché fossero sempre più ristrette le maglie della normalità, in modo da includere il maggior numero possibile di potenziali pazienti e quindi clienti. Chiama in causa senza mezzi termini le grandi aziende farmaceutiche, riportando ricerche e dati sulle prescrizioni facili di farmaci psicotropi e indicando puntualmente i più pubblicizzati. Egli usa termini quali “folle” e “vergognoso” per descrivere il comportamento di Big Pharma riferendosi all’uso smodato di antipsicotici quali Seroquel e Abilify negli Stati Uniti. Farmaci a suo dire nella stragrande maggioranza dei casi prescritti a gente che non ha bisogno ma che vengono spinti da campagne di marketing aggressive e al limite della legalità. Non risparmia infine nemmeno la critica del DSM 5, edizione successiva alla propria del famoso manuale diagnostico. Lo definisce delirante perché, a suo dire, per come è impostato non fa altro che esacerbare i fenomeni testé descritti oltre ad aumentare il numero di patologie. Nell’ultima parte del libro lo psichiatra americano mette da parte il suo approccio “destruens” e cerca di fare delle proposte per arginare e porre rimedio a questi fenomeni. Le indicazioni sono molto precise e riguardano soprattutto la limitazione del potere, economico, di marketing, persuasivo e “di relazione” delle case farmaceutiche. Il libro si conclude con una carrellata di storie di pazienti, alcune a lieto fine altre invece con esiti negativi e che hanno segnato l’intera vita di quelle persone. Casi che fanno pensare quanto una pratica medica possa al contempo risultare utile e distruttiva se non applicata con giudizio, prudenza e sapienza. Probabilmente quelli di Frances resteranno solo buoni auspici ma l’obiettivo di stimolare una riflessione critica in tutti coloro che leggeranno il suo testo è, a mio avviso, pienamente riuscito.
Autore: Giuseppe Altieri
Espiazione
Correvo come un pazzo per lo stradone affollato. Macchine, persone, mi sembravano tutte immobili mentre sentivo sfiorare i talloni vicino al culo. Vedevo tutto sfocato, le lacrime sgorgavano fuori come torrenti gonfi tra le ripe di un canyon e mi solcavano il viso lasciando tracce profonde non solo epidermiche. Le mani mi si paravano innanzi come fruste nervose e il respiro era talmente corto che mi sembrava assente. Correvo lontano, lontano da lì. La rabbia aveva lasciato il posto alla paura, allo sgomento, repentinamente. Me la stavo facendo sotto, letteralmente. O meglio, me l’ero fatta sotto. Sentivo calore provenire dalle mutande ma non distinguevo se fosse piscio o merda; o entrambi. Non mi voltai nemmeno una volta fino a quando non vidi un paio di anfibi vicino al mio viso sporco, lacrimante, lacerato dalla caduta rovinosa sull’asfalto bollente. Probabilmente avrei corso all’infinito se non fossi “inciampato”. L’uomo mi sollevò prendendomi dalla cintura che si strinse forte al ventre e mi provocò dei conati di vomito che riuscii a stento a trattenere. Mi mise supino, spalle a terra, gambe larghe e braccia incrociate dietro la testa; il fiato corto, il sudore e il brutto schianto al suolo mi avevano talmente rintronato che sentivo un fischio costante nelle orecchie. Avevo dolori dappertutto e non riuscivo a vedere la grande figura che mi sovrastava perché accecato dalla forte luce di quel tardo mattino. Ne sentivo la voce, senza distinguere il significato delle parole che mi stava urlando contro. Un dolore più forte mi fece chinare il capo sulla destra, in basso, verso la gamba: vidi un fiotto di sangue uscire altezza del ginocchio. Mi spaventai. Poi sentii il freddo delle manette chiudersi intorno ai miei polsi. Svenni.
Continua a leggereIl modello transteorico e l’importanza del tempo in psicoterapia

Il tempo per cambiare
La questione tempo è tanto fondamentale in un lavoro psicoterapeutico quanto troppo spesso ignorata. Ognuno di noi ha i suoi ritmi peculiari, a partire da quelli biologici, i suoi tempi di apprendimento e le sue modalità, più o meno rapide, di affrontare i cambiamenti. Se abbiamo convenzionalmente accettato di misurare il tempo della scienza, per dirla con Bergson, in ore, minuti e secondi, non abbiamo invece le medesime convenzioni per quello della coscienza, e da psicologo direi anche dell’inconscio. In una psicoterapia efficace centrata sulla persona, le caratteristiche del paziente sono quelle che informano e guidano l’intervento e per questo motivo non si può non tener conto, non solo delle dimensioni temporali testé citate, ma anche e soprattutto del punto di partenza: dello stadio di preparazione al cambiamento in cui si trova la persona che chiede una consulenza. Questa considerazione è, a mio parere, fondamentale perché è una di quelle che permette di calibrare in maniera ottimale il piano di trattamento e di conseguenza gli obiettivi, le strategie e le tecniche terapeutiche. In un approccio personalizzato non saper riconoscere il livello di prontezza e di preparazione al cambiamento del paziente, non sapersi sintonizzare sulla sua stessa lunghezza d’onda, porta a quel fenomeno troppo spesso erroneamente attribuito alla personalità del soggetto: la resistenza. Essa può inficiare la relazione terapeutica e anche porre fine alla stessa quando non riconosciuta ed elaborata. Concepire i fenomeni di resistenza come co-causati da terapeuta e paziente invece, aiuta ad affrontarli con i mezzi che la nostra parte di responsabilità ci attribuisce. E la resistenza talvolta è dovuta a manovre terapeutiche affrettate e/o tardive che appunto non seguono i tempi del paziente, a volte anticipandoli e a volte ritardandoli.
L’amico a pagamento
Gli sudavano tremendamente le mani. Aspettava il paziente trepidante, con il nodo in gola mentre volgeva lo sguardo verso il campus dell’Università in cui aveva studiato. Le tende della finestra erano di uno strano materiale, acrilico o qualcosa di misto, che non gli consentiva di tamponare il sudore freddo causatogli da quel solito stato di ansia soffocante. A momenti barcollava, aveva giramenti di testa e il pensiero gli correva in avanti fino a fantasticare sul tipo di argomenti che avrebbe affrontato con quel povero ragazzo incontinente che avrebbe incontrato di lì a poco. Continua a leggere
Sulla utilità di una pratica flessibile in psicoterapia
Come si possa far passare un messaggio selezionando accuratamente quali opere di un autore divulgare oppure no, l’ho imparato un po’ alla volta. Sto parlando di Freud e della sua opera; di come i suoi successori, allievi e familiari, abbiano costruito un’ortodossia che ancora oggi tenta di preservare se stessa nascondendo, o ignorando più probabilmente, alcuni degli scritti del padre della psicoanalisi e della psicoterapia in genere. Continua a leggere
Il silenzio assordante
“Smacchieremo il giaguaro!”.
Pierluigi Bersani, candidato in pectore alla presidenza del Consiglio prima delle elezioni politiche del 2013.
“Se qualcuno insulta la mia mamma, io gli do un pugno!”.
Papa Francesco a proposito dell’attentato a Charlie Hebdo.
“Red Bull ti mette le ali!”
Slogan pubblicitario di una nota bibita.
Questo scritto è anche un meta-scritto e un esempio della tesi qui esposta; o almeno tenta di esserlo.
Il titolo di quest’articolo è una provocazione. Se il lettore ci fa caso, la locuzione “silenzio assordante” è una delle più utilizzate e diffuse nei mezzi di comunicazione. Ne fanno massiccio uso sia i media sia la gente comune, riferendosi a qualcuno che deve parlare o relazionare su qualcosa o comunque deve palesare la propria posizione rispetto ad un argomento oggetto di dibattito. Spesso questo soggetto è reticente e quindi si chiude appunto in un silenzio assordante. La frase è forte, paradossale; rende bene l’idea della opportunità e dell’esigenza di espressione poiché essendo “assordante”, il silenzio è negativo, inopportuno, direi proprio fastidioso. Continua a leggere
Il linguaggio dell’integrazione
di Giuseppe Altieri
Il mio percorso formativo è di tipo integrato. Sono ormai 4 anni che studio svariati modelli psicoterapeutici, con le loro peculiari tecniche, le loro metodologie operative, i loro protocolli d’intervento e il loro linguaggio. Non è facile districarsi in questa Babele, spesso mi ritrovo confuso; ci sono modelli che addirittura sono antitetici tra loro, si escludono a vicenda. Continua a leggere
L’autoinganno del terapeuta
“La verità non si può insegnare… il paradosso dei paradossi è che il contrario della verità è ugualmente vero”
Siddartha, Hermann Hesse.
Arriva una persona in studio; la accolgo, la faccio sedere ed inizio ad ascoltarla. Ho la mente sgombra, cerco di attuare la cosiddetta epoché; mi pongo con assoluto rispetto nei confronti di ciò che ella mi sta dicendo. Poi ad un tratto dice qualcosa che suscita in me un’associazione, mi sembra che quello di cui sta parlando lo abbia già sentito, ho l’impressione che il suo vissuto possa comprendersi e spiegarsi secondo delle dinamiche che qualcuno prima di me ha studiato e validato, utilizzando, più o meno, principi epistemologici che ne danno credibilità. Continua a leggere
Il sistema che non va in crisi. Come affrontare i problemi della modernità con i metodi del ’29
Se i fatti non corrispondono alla teoria, la teoria è sbagliata.
G. GalileiSe i fatti non si accordano con la teoria, tanto peggio per i fatti.
G. W. F. Hegel
Il sistema economico è in crisi e con esso l’assetto stesso della nostra società: la società liberale, democratica, capitalistica, fondata sullo stato di diritto e tendenzialmente progressista. Dopo circa vent’anni dalla fine di un altro grande sistema economico, il socialismo reale, anche il capitalismo liberale vacilla. Una delle tante ragioni che hanno determinato questo fenomeno credo risieda nel fatto che questi grandi sistemi economici non riescono più ad interpretare, a spiegare e ad organizzare la realtà e quindi la vita degli uomini. La loro intrinseca staticità li ha portati a non cambiare con il passare degli anni ma piuttosto a perpetuarsi e in un certo senso a crogiolarsi nella convinzione di possedere la verità, di essere, ognuno per motivi diversi, l’unico sistema in grado di sopravvivere e funzionare correttamente. Continua a leggere
Il “coso” clinico. Potere iatrogeno delle diagnosi facili
Primum non nocere (Giuramento di Ippocrate).
Medice, cura te ipsum (Luca, 4, 23).
Sono nato in un piccolo paese della Basilicata dove, come in tutti i piccoli paesi italiani, gli abitanti erano, e probabilmente lo sono ancora, soliti attribuirsi dei soprannomi, sia riferiti alla famiglia di appartenenza che al singolo individuo. Tali “nomignoli” rappresentano spesso delle caratteristiche peculiari delle persone alle quali si riferiscono, caratteristiche che vengono amplificate più o meno consapevolmente dai soggetti stessi che le evidenziano, soprattutto quando sono considerate virtù, fino a farne una sorta di caricatura permanente. Caricatura che identifica quell’uomo o quella donna all’interno della comunità e che ne connota l’identità. Si viene così a creare un personaggio insomma, creazione alla quale concorre sia chi il soprannome l’ha inventato e, spesso, sia chi l’ha ricevuto, maggiormente se egli ne fa motivo di vanto. Continua a leggere
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