Se i fatti non corrispondono alla teoria, la teoria è sbagliata.
G. GalileiSe i fatti non si accordano con la teoria, tanto peggio per i fatti.
G. W. F. Hegel
Il sistema economico è in crisi e con esso l’assetto stesso della nostra società: la società liberale, democratica, capitalistica, fondata sullo stato di diritto e tendenzialmente progressista. Dopo circa vent’anni dalla fine di un altro grande sistema economico, il socialismo reale, anche il capitalismo liberale vacilla. Una delle tante ragioni che hanno determinato questo fenomeno credo risieda nel fatto che questi grandi sistemi economici non riescono più ad interpretare, a spiegare e ad organizzare la realtà e quindi la vita degli uomini. La loro intrinseca staticità li ha portati a non cambiare con il passare degli anni ma piuttosto a perpetuarsi e in un certo senso a crogiolarsi nella convinzione di possedere la verità, di essere, ognuno per motivi diversi, l’unico sistema in grado di sopravvivere e funzionare correttamente.
Un sistema di convivenza civile è creato dagli uomini per gli uomini, per questo un altro aspetto che ancor più mi colpisce in questo periodo non è tanto il fatto che il capitalismo finanziario, dato per consolidato, abbia provocato e generato il contrario di ciò che ci si auspicava: abbia causato cioè una diminuzione della ricchezza, dei beni fruibili dai cittadini e un sostanziale degrado sociale. Quanto il metodo e l’approccio che i nostri governanti utilizzano per porre rimedio ad una situazione che tutti definiscono di crisi. Il mito della crescita costante ci aveva dato l’illusione che questo impianto economico-sociale potesse garantire prosperità e benessere per tutti, o meglio, per tutti coloro che lo assumevano a loro caposaldo sociale, intellettuale e di convivenza, vale a dire la quasi totalità delle potenze occidentali e le nuove economie emergenti. Come dicevo, l’aspetto che maggiormente attira la mia attenzione non è tanto il fatto per cui questo sistema abbia messo in luce tutti i suoi limiti e sia entrato in crisi, quanto l’atteggiamento e le contromisure che gli uomini di governo mettono in atto per far fronte alla involuzione economica e sociale che ha investito l’Italia e l’Europa tutta. La mia impressione è che la crisi, che etimologicamente significa “scelta”, per come venga affrontata non costituisca affatto una scelta ma soltanto un’occasione per dare “qualche martellata” qua e là e ritornare poi allo stato di cose precedente, magari con qualche miglioria ma senza però cambiare radicalmente prospettiva, senza smuovere o criticare seriamente il modello socio-economico da noi, o da chi per noi, scelto. Senza mettere minimamente in dubbio il valore di “verità” che il sistema capitalistico detiene.
Non sono un fautore delle rivoluzioni facili ma quello a cui sto assistendo è esattamente l’opposto di quello che ritengo si debba fare in una situazione di crisi. Osservare e vivere questo momento storico mi offre lo spunto e, più onestamente, il pretesto per parlare di un altro genere di crisi, una crisi che mi riguarda più da vicino e che mi colpisce in prima persona in quanto tocca un argomento che mi sta molto a cuore. Parlo della crisi che sembra presente nel mondo della psicologia e della psicoterapia nello specifico. Per i miei intenti esplicativi utilizzo la crisi economica come metafora della crisi che può intervenire nel sistema-paziente e nel sistema-terapeuta-paziente e cerco di scrivere la mie riflessioni rispetto ai sistemi teorici che, più o meno incisivamente, determinano e connotano la relazione psicoterapeuta.
Sono ancora validi questi sistemi?
La storia dell’Uomo e degli uomini è piena zeppa di momenti di crisi, di qualsiasi natura: economica, sociale, relazionale, scientifica, religiosa etc… Queste crisi spesso sono correlate e un cambiamento in una sfera comporta mutamenti più o meno grandi anche nelle altre. È la teoria generale dei sistemi che mi aiuta a comprendere le ripercussioni innegabili che delle banche americane hanno sulla vita del contadino in Patagonia. Il sistema in crisi è soprattutto il sistema di rapporti che “regola” la vita delle persone ed un sistema di rapporti non può non farmi pensare alla situazione terapeutica, fatta di relazioni che iniziano, si interrompono e vanno in crisi appunto. Crisi che si manifesta anche durante le prime sedute: “Non sono un piccione” mi disse una ragazza quando le chiesi perché aveva scelto di venire da me anziché rivolgersi ad una collega di orientamento cognitivo-comportamentale di sua conoscenza. Altro spunto di riflessione mi è venuto quando i colleghi della redazione discutevano, qualche sera fa, sull’opportunità o meno di intraprendere un percorso sistemico piuttosto che dinamico e di quanto fosse dovuto poi al caso o forse alle proprie inclinazioni o preferenze, la scelta di quel o quell’altro terapeuta (non sottovaluterei le aspettative collusorie, spesso inconsapevoli, di un paziente).
“Avevo un problema con il mio ragazzo e veniva invitato in seduta lui; riportavo al mio terapeuta un litigio con mia madre e veniva interpellata anche lei; e cosi via… in mezzo a tutta quella confusione io dov’ero?” Queste sono le parole riportate da una paziente che aveva cambiato terapeuta ed era passata da uno ad orientamento sistemico ad uno ad indirizzo psicoanalitico.
“Mi chiedo se un percorso sistemico avesse potuto evitare una separazione così drammatica…” è stata la domanda posta da una mia collega, che utilizza un approccio sistemico, la quale aveva in terapia una donna che si era bruscamente separata dal marito e che aveva cercato in tutti i modi di coinvolgerlo ottenendo sempre un rifiuto. Il marito aveva infatti preferito un setting “esclusivo” con uno psicoanalista.
Non voglio stare qui ad esaminare se le richieste dei pazienti fossero più o meno informate, nel senso che sapessero veramente ciò di cui avevano bisogno e che tipo di intervento fosse loro più utile (si badi dico utile e non adatto), ma la domanda che mi pongo è: “Quale terapeuta per quale paziente?” Ed inoltre: “È corretto porsi la questione in questi termini, cioè ancora considerando che esistano orientamenti diversi e di diversa efficacia per diversi pazienti o per diverse patologie come piace ai fautori dei trattamenti manualizzati?” “Chi deve fare un passo verso l’altro?” Spesso ho l’impressione che le persone ricevano il trattamento, non sulla base dei loro bisogni ed esigenze ma ricevono e s’impegnano nella terapia meglio conosciuta dal terapeuta al quale si rivolgono. Il rischio è l’omologazione delle persone al tipo di terapia e, più specificatamente, al tipo di epistemologia che il terapeuta abbraccia e fa propria. Quanto più questa è ristretta tanto più rischi corre a mio avviso lo psicologo, rischi rispetto all’efficacia della propria azione terapeutica in primis, correlati quindi alla salute del paziente, e rischi rispetto anche alla propria professione e alla capacità che egli deve avere di saper leggere il contesto, sociale e relazionale nel quale va ad operare. Come la crisi ci dimostra, questo contesto è tutt’altro che statico.
La responsabilità di offrire il miglior servizio di salute mentale e di cura tocca al professionista e per farlo efficacemente egli deve, a mio avviso, conoscere quanto più possibile sull’essere umano in generale e sulla persona che ha di fronte in particolare, magari indossando più occhiali con i quali filtrare le informazioni e non nessuno come invece affermano gli a-teorici più radicali. I filtri che lo psicoterapeuta indossa sono appunto le teorie o la teoria che egli ha abbracciato nel suo percorso formativo e lavorativo e con la quale organizza il proprio setting, la propria metodologia operativa finanche i propri interventi. I filtri attuali permettono di vedere la realtà? Permettono di costruire relazioni terapeutiche efficaci? Sono ancora capaci di interpretare, spiegare, agire sulla vita degli uomini in modo tale da alleviare la loro sofferenza? Sono sufficientemente aperti al cambiamento nel caso in cui si dimostrino poco efficaci o addirittura obsoleti? Quando sono stati creati? In che condizioni?
Io credo che le principali teorie che dominano il panorama terapeutico mondiale attuale abbiano perso il loro valore di “verità”, non riescono cioè a comprendere, spiegare, organizzare, curare ed alleviare l’umana sofferenza come magari facevano qualche decennio fa, proprio come non riescono più ad ottemperare alle loro funzioni il capitalismo ed il socialismo. Perché è accaduto questo? Semplicemente perché l’uomo è cambiato e a mio parere questo cambiamento è stato più veloce di quanto ci si aspettasse. I nuovi sintomi lo dimostrano, nuovi comportamenti, nuovi modi di organizzare lo spazio ed il tempo, nuovi e diversi modi di vivere le relazioni e gli affetti.
Secondo Thomas Kuhn (Kuhn, 2009) quando più teorie sono in contrasto tra loro significa che sono pronti i tempi per una rivoluzione scientifica, per la costruzione di un nuovo paradigma più potente ed esplicativo del precedente. Al lettore la valutazione dello stato attuale delle varie scuole di pensiero psicoterapiche: siamo a livelli di libri neri.

Credo sia giunto il tempo di porre le basi per un nuovo paradigma scientifico per la psicologia e la psicoterapia. Credo proprio che siano maturi i tempi. Credo sia finito il tempo dell’uomo-macchina, che tende all’equilibrio e che risponde puntuale agli stimoli ambientali. L’uomo considerato come sistema chiuso (Von Bertalanffy, 2010) ha perso il suo valore di verità, non è più sufficiente a spiegare il comportamento, i pensieri, le emozioni che lo riguardano e men che meno è sufficiente a curare ed alleviare la sofferenza che lo affligge. Serve una nuova concezione dell’essere umano sulla quale costruire questo nuovo paradigma di conoscenza. A mio parere l’uomo è fondamentalmente un costruttore di relazioni quindi da questo assunto penso sia necessario partire per ideare e sistematizzare una nuova conoscenza e una nuova teoria della pratica. Si parte sempre dal vecchio per giungere al nuovo, lo dico senza ironia. Il percorso è arduo, qualcuno già si è avviato, molti sono ancora fermi nelle loro roccaforti. I concetti, gli studi e le pratiche sono ancora poco organizzate e recano spesso il cartello “lavori in corso” ma qualcosa si muove e questo mi da fiducia. L’importante per me è evitare di fermarsi intellettualmente in uno stagno, confortevole ma pericolo, e cercare di “armarsi” di più strumenti magari per scoprire verità ancora sconosciute. È in un fiume che siamo immersi. Uso questa figura retorica perché vorrei concludere citando un aforisma attribuito a vari personaggi di diverse discipline tra i quali Bill Gates e Abhraham Maslow e che penso risalga ad Eraclito, il filosofo del divenire: “A chi possiede solo un martello ogni problema sembra un chiodo”.
Bibliografia
Kuhn T.S. (2009), Storia delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino.
Von Bertalanffy L. (2010), Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, Mondadori, Milano.