Il modello transteorico e l’importanza del tempo in psicoterapia

il tempo in psicoterapia

Il tempo per cambiare

La questione tempo è tanto fondamentale in un lavoro psicoterapeutico quanto troppo spesso ignorata. Ognuno di noi ha i suoi ritmi peculiari, a partire da quelli biologici, i suoi tempi di apprendimento e le sue modalità, più o meno rapide, di affrontare i cambiamenti. Se abbiamo convenzionalmente accettato di misurare il tempo della scienza, per dirla con Bergson, in ore, minuti e secondi, non abbiamo invece le medesime convenzioni per quello della coscienza, e da psicologo direi anche dell’inconscio. In una psicoterapia efficace centrata sulla persona, le  caratteristiche del paziente sono quelle che informano e guidano l’intervento e per questo motivo non si può non tener conto, non solo delle dimensioni temporali testé citate, ma anche e soprattutto del punto di partenza: dello stadio di preparazione al cambiamento in cui si trova la persona che chiede una consulenza. Questa considerazione è, a mio parere, fondamentale perché è una di quelle che permette di calibrare in maniera ottimale il piano di trattamento e di conseguenza gli obiettivi, le strategie e le tecniche terapeutiche. In un approccio personalizzato non saper riconoscere il livello di prontezza e di preparazione al cambiamento del paziente, non sapersi sintonizzare sulla sua stessa lunghezza d’onda, porta a quel fenomeno troppo spesso erroneamente attribuito alla personalità del soggetto: la resistenza. Essa può inficiare la relazione terapeutica e anche porre fine alla stessa quando non riconosciuta ed elaborata. Concepire i fenomeni di resistenza come co-causati da terapeuta e paziente invece, aiuta ad affrontarli con i mezzi che la nostra parte di responsabilità ci attribuisce. E la resistenza talvolta è dovuta a manovre terapeutiche affrettate e/o tardive che appunto non seguono i tempi del paziente, a volte anticipandoli e a volte ritardandoli.

Tra le direttrici intraprese dai propugnatori dell’integrazione delle varie psicoterapie, la teoria dei fattori comuni sembra essere quella che ha maggiori prove di validità clinica e scientifica. Io mi annovero tra i più ferventi sostenitori di questo approccio e lo considero tanto più efficace quanto più si basa su un’attenta ed esaustiva valutazione dello stato del paziente. A questo proposito, il modello trans-teorico, messo a punto da Prochaska e Di Clemente (1992), offre delle indicazioni operative molto utili per la valutazione e la successiva stesura del piano di trattamento. Siccome ogni psicoterapia deve essere personalizzata, adeguata cioè alle specifiche caratteristiche di quella data persona, gli autori propongono di scegliere e costruire l’intervento più adatto seguendo 3 dimensioni di cambiamento:

  1. Gli stadi di cambiamento in cui si trova il paziente: pre-contemplazione, contemplazione, preparazione, azione, mantenimento e termine. Rispondono alla domanda: “In che momento temporale, rispetto alla esigenza sentita di un cambiamento, si trova questa persona?”.
  2. I livelli di cambiamento richiesto dai problemi del paziente: sintomi e comportamenti problematici, cognizioni disadattive, conflitti interpersonali, conflitti della coppia, della famiglia e/o del sistema e conflitti intrapersonali. Rispondono alla domanda: “Di cosa ha bisogno il cliente per risolvere i suoi problemi?”.
  3. I processi di cambiamento utili e più consoni alla situazione del paziente: catarsi, autoliberazione, liberazione sociale, rivalutazione ambientale, controllo dello stimolo, controcondizionamento, gestione del rinforzo, aumento della consapevolezza, rivalutazione del Sé, relazione d’aiuto. Rispondono alla domanda: “Come può affrontare questi problemi?”.

Di queste tre dimensioni approfondirò la prima: la dimensione temporale. Come ho già spiegato nel cappello, può essere di grande aiuto per costruire una solida alleanza terapeutica, pianificare un intervento che tenga conto e sia rispettoso delle reali caratteristiche del paziente, dei suoi bisogni e delle sue competenze. Può essere utile inquadrare il suo grado di propensione al cambiamento utilizzando per l’appunto il modello trans-teorico.

Gli stadi del cambiamento

Vediamo quindi, più nel dettaglio, gli stadi del cambiamento in cui può trovarsi una persona nel momento in cui chiede un consulto ad un terapeuta. Lungi dal voler essere un modello prescrittivo, quello degli autori è piuttosto un approccio descrittivo della situazione in cui può trovarsi una qualsiasi persona che abbisogna di un consulto psicologico. Questo modello può essere utile per evitare improvvisazioni, vaghezza degli interventi se non proprio approssimazione tecnica e metodologica. Gli stadi del cambiamento individuati sono:

  • Pre-contemplazione: la persona che si trova in questo stadio non ha nessuna esigenza di cambiare e ignora completamente i problemi che lo affliggono. Spesso arriva in terapia perché trascinata dal partner o da un familiare i quali invece vivono con estremo disagio la situazione problematica e spesso ne sono parte attiva contribuendo a mantenerla se non proprio a causarla.
  • Contemplazione: la persona inizia a prendere coscienza dei suoi problemi ma non ha intenzione di mobilitarsi per risolverli. Può rimanere molto a lungo bloccata in questo stadio e può mettere in atto un “rimuginare cronico” che la lascia perennemente in attesa.
  • Preparazione: in questo stadio si combinano l’intenzione e l’azione. La persona che si trova in questo stadio, ha iniziato a modificare alcuni aspetti della propria vita, di solito abitudini e comportamenti poco strutturati, anche se in maniera disordinata e incostante. Quello che le serve è un percorso e degli obiettivi chiari da perseguire in maniera efficace e sistematica.
  • Azione: in questa fase il paziente mette in atto dei comportamenti nuovi. Mutano i suoi pensieri, le sue abitudini e il suo “stare al mondo” in genere. Questi cambiamenti possono essere più o meno evidenti e significativi ma comunque sono presenti alla coscienza della persona interessata e di chi lo circonda. A questo punto servono abilità funzionali al cambiamento e strategie atte a non inficiarlo e a prevenire delle regressioni o ricadute.
  • Mantenimento: contrariamente a quanto lascia supporre il termine, non è uno stadio fisso ma richiede, come nell’azione, impegno ed energia. In questo stadio la persona si adopera per prevenire ricadute che sono la norma piuttosto che l’eccezione. Ecco che allora, il mantenimento si configura più come un passaggio costante tra esso stesso e lo stadio dell’azione, come in una sorta di spirale circolare senza fine.
  • Termine: questo stadio sopraggiunge quando una persona non fa più alcuno sforzo per mantenere un comportamento che, oramai acquisito, rientra tra il proprio repertorio personale. A questo stadio si osservano le buone abitudini acquisite e si nota anche un processo di autocura e autosostegno nei momenti di difficoltà. Spesso coincide con il termine della psicoterapia ma a volte questa può continuare per affrontare altre tematiche o solo per supporto/consulenza.

È ovvio che quanto più un paziente è rivolto all’azione, tanto migliore sarà la prognosi e tanto più efficiente la terapia. Nella pratica clinica cerco sempre di collocare il mio interlocutore ad uno di questi stadi, soprattutto nelle fasi iniziali del percorso, perché ciò mi aiuta calibrare meglio il piano di trattamento, gli obiettivi ma soprattutto la relazione terapeutica. Con una persona in fase di pre-contemplazione ad esempio, lavoro soprattutto alla costruzione dell’alleanza di lavoro e alla definizione consapevole dei bisogni. Mi capita spesso con adolescenti “difficili” che arrivano in studio trascinati dai genitori in seguito alla scoperta, da parte di quest’ultimi, di uso di droga. Oppure mi capita quando un coniuge porta in terapia l’altro e magari uno dei due, spesso il committente, non ha ben chiara la sua responsabilità nella crisi di coppia. Più facile invece la situazioni in cui una persona vive “egodistonicamente” la sua condizione e cerca aiuto per risolverla. Quella persona è già motivata ad intraprendere un cambiamento e spesso quello che le manca è il “come”. Questo tipo di persone si collocano quindi ad uno stadio di contemplazione e/o preparazione e quindi l’impostazione terapeutica sarà differente. Com’è intuibile, anche le dimensioni riguardanti i livelli e i processi di cambiamento influenzano la “collocazione temporale” di un paziente. Esse s’informano e s’influenzano vicendevolmente secondo uno schema a causalità multipla.

Per concludere, è importante ricordare che il processo non è lineare. Una persona può andare avanti e indietro, essere cioè disposta ad iniziare un percorso, ad interromperlo magari in seguito di un qualsiasi avvenimento di vita. Può cambiare idea dopo qualche seduta oppure non sentire più l’esigenza di continuare la terapia dopo aver raggiunto qualche risultato. Oppure può ritenersi completamente soddisfatta del lavoro già svolto fino a quel momento e non voler proseguire più. Inoltre, a fine percorso, la regressione che avviene tra le fasi di mantenimento e azione e che clinicamente definiamo ricaduta (o recidiva se avviene dopo un più lungo lasso di tempo dalla fine della terapia), può avvenire a stadi precedenti: un movimento di andata e ritorno tra gli stadi contigui e un bloccarsi ad uno stadio che avevamo considerato superato. Questa dinamica è frequentissima nella prassi terapeutica e può essere causata, oltre che dalle normali vicissitudini di vita del paziente, anche da manovre terapeutiche errate da parte del clinico. Quest’ultime vanno riconosciute, contestualizzate temporalmente e utilizzate nei momenti più opportuni, sempre con il fine ultimo di favorire un cambiamento positivo. Il modello trans-teorico può essere un’utile guida per capire tutto ciò.

Bibliografia

Prochaska J.O., Di Clemente C.C. (1992), The transteoriteical approach, J.C. Norcross & M.A. Goldfried (eds), Handbook of psychotherapy integration, Basic Books, New York, tratto da Giusti E., Montanari C., Iannazzo A. (2004), Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per psicoterapeuti con interventi a breve, medio e lungo termine, Masson, Milano.

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