La mia casa

di Sandra Granchelli

Photo by Maria Orlova on Pexels.com

Mi sento di vetro.

Come fossi di vetro…

Come di vetro…

Ecco, così, così mi piace di più, forse.

Mi sento come di vetro…

Forse però l’ha già scritto qualcun altro.

Sono di vetro.

Sono vetro.

Forse dovrei trovare una soluzione diversa, altra metafora, altra similitudine o quel che è.

Nei corsi di scrittura creativa ti consigliano di non scegliere materiale linguistico già preconfezionato ma di creare immagini nuove.

Sono di vetro…

Devo pensare a qualcosa di altrettanto fragile del vetro, perché è la fragilità che voglio evocare, non la trasparenza. Giacchè “sono di vetro” potrebbe far pensare che mi si può vedere dentro. Ma io non volevo dire questo, volevo dire che posso rompermi facilmente.

Cosa si rompe come il vetro?

La ceramica? I piatti di ceramica in effetti si rompono con una certa facilità, anzi, forse anche più facilmente del vetro, almeno di quel vetro di cui sono fatti i nostri bicchieri.

Sono di ceramica…

No, non suona bene.

Piatto di ceramica in un negozio aquilano alle 3.32 del sei aprile duemilanove.

No, direi di no, per niente poetico.

Anche se credo che i piatti di ceramica in quella notte se la siano vista brutta. Nel mio paese, per dire, la mattina del sei aprile, i ragazzi che vendevano le ceramiche di Castelli le hanno ritrovate tutte in frantumi, per terra, insieme a cocci di vetro e a pezzi di intonaco e mattoni e chissà cos’altro.

Sono come una casa del centro storico di uno dei paesi terremotati, una casa antica di quelle ristrutturate male, un 6.0 della scala richter è sufficiente a buttarmi giù.

No, non funziona. Orribile direi. Basta con queste similitudini da terremoto.

Eppure il terremoto è un’esperienza assolutamente destabilizzante, ti espone all’improvviso alla tua fragilità. Sei lì, nella tua casa, ti senti al sicuro, le porte chiuse, le finestre chiuse. E’ buio fuori, anche un po’ freddo, ma tu ti senti al sicuro nel tuo letto caldo, dentro la tua illuminata, solida, inaccessibile, comoda casa. E’ come un ventre materno la tua casa. Cosa ti minacciava dentro il ventre di tua madre? Cosa può minacciarti dentro la tua casa una volta che tutto è stato chiuso e tutti i pericoli sono fuori, oltre la porta blindata? All’improvviso, inaspettatamente, senza una ragione che non sia troppo complicata da capire, una ragione che ti ignora, che se ne infischia completamente della tua esistenza, la casa si mette a ballare, la tua casa solida, ferma, grande, stabile. Il pavimento, i muri, il solaio, le finestre, le porte si muovono intorno a te, si muovono come fossero di… come fossero di… di roba che si muove. Una casa che è immobile per definizione – investire nel mercato immobiliare, il prezzo degli immobili, il mercato degli immobili… – l’immobile nel quale vivi e che deve proteggerti si muove. Scricchiola.  Dapprima scricchiola. Poi il rumore si fa sempre più forte e non lo distingui più dal boato del terremoto, dalla voce della terra. E’ il grido della tua casa, che certo non doveva aspettarselo neanche lei di essere scossa in quel modo. Urla la tua casa, urlano i muri, le tegole, urla la porta di metallo del garage, urlano i vetri delle finestre, le porte che collegano le stanze, la ringhiera di ferro battuto sul balcone. Urlano i mobili percossi dalle mura, colti di sorpresa, i mobili, dal movimento insospettabile delle mura. Urla la tua casa forse nel tentativo di avvisarti. Fuggi, non posso più difenderti. Fuggi finchè sei in tempo, non so quanto potrò resistere. Scappa, non dalle scale però, sono il mio punto debole, lo sai, scappa, esci fuori in qualche modo di qui perché non posso muovermi io, non devo muovermi e se accade, se succede che io cominci a muovermi è molto probabile, in determinate circostanze può essere certo, che mi sfaldi, che imploda, che non riesca più a tenermi in piedi, che mi schianti e  tu dentro non sei più al sicuro. Scappa… che ti sto cadendo addosso. Scappa!

Non volevo dire di questo, non volevo parlare di terremoti e di case che crollano… Come ci sono finita a parlare del terremoto? Terremoto dell’anima? Casa intesa come proprio mondo interiore? Casa = io?

Io rigido. Immobile.

Le strutture rigide non resistono ai terremoti, si spezzano. Si rompono, appunto, come vetro?

Bisogna essere elastici. Il ferro dentro al cemento armato non serve a questo? A rendere elastica la struttura?

Pago sessanta euro la settimana per diventare più elastica.

Sessanta euro la settimana, quarantacinque minuti, poco più, e un comodo divano, per consolidare la fragile rigida struttura del  mio io.

Ridicolo che la rigidità implichi fragilità.

Una cosa rigida sembrerebbe solida e come tale forte.

Inganno? L’idea della rigidità come forza, intendo.

La rigidità come costruzione interna – costruzione, ancora, come se parlassi di case, ancora, mentre tento di parlare di me. Che poi la rigidità non è una costruzione, è piuttosto una modalità. La costruzione è l’Io, forse. Non voglio addentrarmi in sofismi psicologici – e non so se si può dire sofismi psicologici – non voglio addentrarmi in discussioni e complicazioni psicologiche. Lo chiamo Io, ma potrebbe essere il , non lo so, intendo il nostro mondo interiore, intendo il modo in cui affrontiamo il mondo, i nostri pensieri, quello che sappiamo, le idee, gli affetti, i ricordi, le emozioni, intendo il nostro software, ecco, contrapposto all’hardware che è il corpo. Il mio software, così indefinibile e inafferrabile all’apparenza, ha in realtà un’architettura così rigida da rischiare di schiantarsi di fronte ai movimenti tellurici della vita. Wow… che frase! Terribile. E poi la parola software non evoca tragedie. Voglio dire, sì, i computer si schiantano, metaforicamente, e non è piacevole per niente trovarsi di fronte ad un computer impallato, che ha perso i tuoi dati, che non risponde ai tuoi ordini.

Ma una casa che ti si muove intorno è un’altra cosa.

Una casa dalla struttura rigida e per niente flessibile, fatta con cemento mal armato, troppo annacquato forse, o in cui la sabbia di mare ha corroso il ferro, una casa dalla struttura rigida che ti si muove intorno è un’esperienza più destabilizzante e distruttiva di un computer “schiantato”.

Anche una casa dalla struttura flessibile che ti si muove intorno non è una bella esperienza. Perché mica lo sai con certezza a cosa può resistere? Speri, confidi nel costruttore, ti hanno assicurato che… ma mica lo sai? La mia casa, per dire, ha resistito benissimo, ha borbottato dapprima, poi ha  protestato, ha alzato sempre più la voce, per niente rassicurante il suo agitarsi e scuotersi e dimenarsi. Spaventoso, assolutamente spaventoso. Ma ha resistito la mia casa. Qualche soprammobile è caduto, alcuni libri, un paio di crepe ma nulla di irreparabile.

La mia casa ha resistito.

Concentrarsi sul concetto di resistenza.

La mia casa ha resistito.

Abbandonare l’idea del vetro, della ceramica, del cemento male armato.

La mia casa resiste.

Resiste.

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