L’isola che non c’è

di Alessandra Mosca

Ha quindici anni. Chiede aiuto.

Ha sempre chiesto aiuto. Fin da quando è nata, Alice chiede aiuto piangendo incessantemente giorno e notte appena tornata dall’ospedale, piange disperata perché il latte non sembra bastarle mai. Alice cresce e già all’asilo tutti si lamentano perché “fa un sacco di capricci!”, “faccia qualcosa, Alice è ingestibile!” si sente dire continuamente la madre.

Il papà di Alice non dà peso a quello che accade, a quello che non sembra vedere, a ciò che gli viene detto dalle maestre anche alle elementari “sua figlia si isola, non ha amici, è sempre sola, sua figlia è strana”. Alice cresce, il passaggio alle medie è complicato, prende sempre più peso, ingrassa e raggiunge l’obesità. Si chiude in camera, esce solo per andare a scuola. Si sente sola e trova compagnia in qualche gioco online con cui comunica con ragazzi della sua età provenienti da ogni paese del mondo. Comincia a scambiare con loro qualche pensiero che vada oltre al gioco e capisce che qualcosa non va. Sono tutti tristi, sono tutti soli, lontani… ognuno cerca conforto nell’altro e lei si sente incapace di aiutarli, vorrebbe essere la Wendy dell’Isola che non c’è, che si prende cura dei bimbi sperduti. Una notte, tra le mura della sua stanza che la schiacciano in un tempo che sembra fermarsi ma tra le quali l’angoscia dilaga senza sosta, si accorge che anche lei è una dei bimbi sperduti. Chiede aiuto. Questa volta, per la prima volta, trova le parole per farlo. Va dal padre e gli dice “ho bisogno di un nutrizionista e di uno psicologo” ma anche in questa occasione la richiesta di Alice non viene raccolta. Il padre pensa sia un momento, una fase, passerà…

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