di Valentina Orsini
“E mi sembra che non ci sia più via d’uscita,
finire in positivo sto percorso
da solo ogni singolo sforzo,
da solo come un orso
incazzato sono magro e dentro grosso”.
La vita di ognuno di noi è costellata da momenti di separazione e perdita. Rappresentano accadimenti che fanno parte di noi, del nostro vivere, sono imprescindibili e non voluti per questo ci fanno stare così male. Partirei con questa foto nel descrivere questo tema tanto trattato e così tanto importante: immaginando la separazione e la perdita come una crepa nel terreno: una rottura che colpisce in maniera più o meno significativa e che può alle volte destabilizzare. Rappresenta qualcosa che si perde, che cambia o anche paradossalmente qualcosa che si acquisisce, ma in ogni caso ha a che fare con un cambiamento.
In tutta la storia del pensiero psicoanalitico il dolore, il lutto, così come la separazione e la perdita hanno sempre avuto una grande rilevanza. Come si vive la sofferenza? Come si riesce a sopportare il dolore? Come riusciamo a tollerare la separazione, i distacchi e le perdite? O meglio: come li viviamo? Perché non credo sia corretto asserire che riusciamo sempre a vivere, tollerare e sopportare tutto ciò che ci accade. Freud (1977) è stato il primo a fornirci un quadro della grandissima importanza, per la nostra vita e per il nostro sviluppo psichico delle nostre relazioni con gli altri. Le persone con le quali il bambino è legato durante i primi anni di vita sono importantissime; se si considera l’importanza delle loro influenze. Sono queste prime relazioni che influenzano (in maniera positiva e non) l’intero processo di sviluppo.
Nella letteratura psicoanalitica con il termine oggetto si designano persone o cose dell’ambiente esterno che sono psicologicamente significative per la vita psichica individuale. Così con il termine di relazioni oggettuali ci si riferisce all’atteggiamento e al comportamento dell’individuo nei confronti di tali oggetti. La sofferenza ci minaccia da più parti e in più modi come dice Freud; ma è con il rapporto con l’altro che siamo più esposti a tali sofferenze, è la perdita del nostro oggetto d’amore che rappresenta la causa e la fonte dei nostri più grandi dolori. Una perdita che può riferirsi ad uno qualunque fra numerosi eventi: dalla morte reale dell’oggetto, alla fantasia che tale oggetto sia morto, ad una separazione o a una fantasia di separazione. La perdita, la morte e la separazione di una persona fortemente investita di cariche energetiche può avere uno sviluppo cruciale sullo sviluppo dell’Io.
La prima e più significativa esperienza di separazione e perdita si vive per la Klein (1958) con la posizione depressiva nel corso dell’infanzia. Il bambino attraversa stati psichici equivalenti al lutto e fondamentale è il modo in cui tali “rotture” vengono affrontate perché ciò servirà da “copione” per il futuro e per le successive relazioni. L’Io del bambino introietta inizialmente fantasie di oggetti parziali, per poi arrivare a percepire una mamma per intero dove il buono e il cattivo sono facente parte della stessa persona. Il seno materno “oggetto buono” significa per la psiche infantile amore, bontà e sicurezza. Se il bambino riesce a vivere la perdita, il dolore, la colpa e i momenti di separazione elaborando questi suoi stati d’animo interni e conservando la capacità di godere del buon rapporto con l’oggetto d’amore e, soprattutto se, l’oggetto d’amore sarà capace di rinforzare la fiducia della bontà propria e degli altri, si stabilizzerà una buona capacità di rapporto con l’oggetto amato e questo comporterà uno stabilirsi sempre più saldo degli oggetti buoni interni cioè: buone esperienze, buoni rapporti, buoni genitori interni. Al contrario, nota Melanie Klein, le esperienze spiacevoli o la mancanza di esperienze piacevoli, e specie la mancanza di un rapporto intimo e felice con l’oggetto d’amore, accrescono l’ambivalenza, riducono la fiducia e la speranza e consolidando le angosce per l’annientamento interno e per la persecuzione esterna. Ed è a questo punto, per parlare di Leo che richiamo l’immagine con la quale ho incominciato: la crepa nel terreno.
Leo (nome fittizio) è un ragazzo che ho conosciuto durante la mia esperienza di tirocinio post-laurea al quale posso far confluire – senza troppa fatica – sia l’immagine della crepa del terreno che il concetto di separazione e perdita. Leo è un ragazzo di 17 anni che ha scelto la modalità dell’uso e poi abuso di sostanze come via di fuga dalla realtà. Una realtà così ingiusta e così tanto crudele, un terreno così instabile e frammentato che ha finito poi per frammentarlo interiormente. Il ragazzo ha scelto di spegnere attraverso la sostanza e la messa in atto di condotte sregolate la sofferenza, la solitudine, le separazioni e le perdite: di un padre che lo ha abbandonato da bambino e di una madre assistita in una comunità per disturbi psichiatrici. Leo mi ha mostrato un pomeriggio una foto della mamma che custodiva nel comodino della sua stanza e mi ha detto: ” lei è mia mamma, non la posso vedere perché è malata, è schizofrenica”. Leo figlio unico, si è ritrovato nell’età più critica per eccellenza a essere sballottato da un parente ad un altro e poi da una comunità all’altra. L’ultima persona a cui il ragazzo si era appoggiato, la sua unica ancora di salvezza che poteva donargli un po’ di attenzioni, cure e amore (una zia) ha richiesto l’intervento dei servizi sociali per l’impossibilità di gestire il ragazzo. Comportamenti sicuramente disfunzionali e pericolosi ma che probabilmente erano gli unici che poteva permettersi – nelle condizioni in cui si trovava – di mettere in atto. Leo ha utilizzato le sue condotte e soprattutto la sostanza come scudo, come barriera e come difesa. Le separazioni che Leo ha dovuto accettare sono state così pesanti proprio perché avvenute nell’età più critica per la formazione e lo sviluppo della personalità, dell’identità e della stabilità emotiva. Senza le figure di riferimento, o per dirla con Bowlby, senza una base sicura da cui partire per esplorare il mondo e dalla quale tornare in caso di difficoltà, regna il disordine. Pensando alla storia di Leo che così tanto mi ha colpito penso a una persona obbligata a vivere sospesa tra ciò che si ritrova ad essere e ciò che sarebbe voluto diventare. Il lavoro che immagino sarà fatto con il ragazzo sarà proprio quello di “ricostruire” sulle macerie e riparare quel funzionamento che lo porta a cercare conforto in qualcosa che forse ha, come unico scopo, quello di compensare un grande vuoto.
BIBLIOGRAFIA
BRENNER C. (2000). Breve corso di psicoanalisi. Martinelli Editore.
FERRO A. (1992). La tecnica nella psicoanalisi infantile. Raffaello Cortina Editore.
FREUD S. (1977). Inhibitions, symptoms and anxiety. The standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud, volume XX (1925-1926).
KLEIN M. (1958). On the development of mental functioning. The International Journal of Psycho-Analysis.