di Maria Orlandi Scati
E’ un dato di fatto incontrovertibile che l’essere umano alla nascita sia biologicamente definito dal suo essere uomo o donna. Questa precisa differenziazione fisica tuttavia non trova corrispondenza a livello psichico, nel quale coesistono specifiche potenzialità maschili e femminili, che non equivalgono all’essere uomo o donna. Queste forze dinamiche, femminilità e mascolinità di base, sono attive nell’area entropica (Ferrari, 1998) e costituiscono le fondamenta sulle quali si struttura l’identità dell’individuo.
Nel corso del processo evolutivo e dalla dimensione filogenetica esita in quella ontogenetica, femminilità e mascolinità di base tendono ad organizzarsi in configurazioni in armonia o meno con il patrimonio genetico. Tendono infatti a contrapporsi o ad integrarsi, dando luogo in un caso a situazioni confusive e conflittuali, nell’altro ad una armonizzazione in una identità di genere.
Si può considerare la femminilità e la mascolinità di base una preconcezione in senso bioniano e cioè “una entità psicologica, che attende una realizzazione che si congiunga con essa”. Una preconcezione “trasmessa filogeneticamente ed inerente alla differenza tra i sessi e dotata di un messaggio relativo al funzionamento dei sistemi uomo-donna. Tale messaggio si riferirebbe sia al rispetto dei fini che alla distribuzione di potenzialità e peculiarità nella realizzazione dei rispettivi compiti” (Ferrari, 1998).
Relativamente alla femminilità e mascolinità di base ognuno trova una soluzione per la gestione del patrimonio genetico, a seconda delle proprie possibilità e della propria dimensione intrapsichica, cioè delle esperienze vissute sia sulla verticale sia sulla orizzontale relativamente al rapporto Uno – Bino, mondo interno – mondo esterno, all’equilibrio della costellazione edipica e delle fantasie connesse.
Mascolinità e Femminilità di base dunque non significano essere uomo o essere donna ma costituiscono il presupposto indispensabile per l’organizzazione della identità di genere. Una soluzione armonica rafforza l’identità di genere e favorisce l’equilibrio nella costellazione edipica e la coesione della configurazione egoica e dunque dell’identità globale. L’identità di genere, vale a dire il percepirsi uomo o donna, è uno stato della mente la cui matrice è nel corpo, sede originaria delle sensazioni-emozioni.
La costellazione edipica è lo scenario profondo sul quale ognuno di noi dispone e fa muovere le imago del proprio padre, della propria madre e del proprio io. Per Ferrari è “l’impronta della psiche”, in quanto equilibrio instabile, cioè dinamicamente soggetto a continue modifiche ed aggiustamenti, che accompagna l’individuo per tutto l’arco dell’esistenza. Non ha dunque una conclusione definitiva al contrario di quanto riteneva Freud che ne collocava la risoluzione nella latenza, facendola coincidere con la scelta dell’oggetto. La costellazione edipica è una configurazione dinamica instabile, costantemente in cerca di un equilibrio, sia nella dimensione verticale sia nell’orizzontale, degli stimoli interni ed esterni. Poiché è strettamente collegata all’identità dell’individuo, ne consegue che le variazioni nella configurazione egoica siano conseguenti alla situazione di equilibrio o del suo contrario nella costellazione edipica. L’equilibrio all’interno di quest’ultima è fondante per la strutturazione della identità. La rottura dell’equilibrio è causa dell’immediata perdita della identità, fino al ristabilirsi di un nuovo possibile equilibrio. La rottura dell’equilibrio è conseguente ad una eccessiva identificazione o introiezione o ad una carenza delle stesse, che determinano il blocco della configurazione egoica. E’ conseguenza anche di una scissione in atto nell’Io o nelle imago paterne e materne, per cui nello scenario interno compaiono figure parentali positive e negative, il padre buono e il padre cattivo, la madre angelo e la madre arpia, un Io valido e un Io svalutato.
Nella situazione clinica lo scenario edipico fornisce all’analista, in grado di servirsene correttamente, uno strumento prezioso per la comprensione del mondo interno dell’analizzando, per rendersi conto del gradi di aggregazione dell’identità raggiunta. Osservando il teatro edipico e le variazioni che vi sono in atto, è possibile rendersi conto della ideologia del soggetto cioè dei modi e delle forme con le quali lo stesso si relaziona ai propri personaggi edipici sulla verticale e con l’analista sulla orizzontale. La funzione dell’analista consiste nell’osservare correttamente la situazione, nell’affiancarla, senza ostacolarla o incentivarla, in modo da lasciare all’analizzando lo spazio per il recupero di emozioni e sentimenti alienati e di aiutarlo per mezzo della proposizione analitica ad assumersi la propria responsabilità rispetto ad essi.
Un’esperienza clinica consentirà di indicare con maggiore chiarezza l’interdipendenza tra identità di genere, costellazione edipica, identità globale e coesione della configurazione egoica.
Il signor X, francese quarantaduenne, bussa al mio studio e chiede di iniziare un’analisi, si dichiara senza esitazione omosessuale ma dice di non accettare la propria “ diversità” e di volere chiarire a se stesso chi in realtà egli sia. Il signor X è il più piccolo di tre figli, due maschi e una donna. Il primogenito è violento e presenta anche aspetti asociali. La madre è una depressa grave. Il signor X la ricorda sempre sofferente, chiusa in camera al buio o seduta davanti al televisore. Aggiunge però che quand’era piccolo la madre, di cui era il preferito, era affettuosa e sempre presente. Poi, “un po’ alla volta le cose sono cambiate e io per lei sono diventato trasparente”. Il padre sempre assente da casa per lavoro, vi aveva fatto definitivamente ritorno quando il sig. X aveva diciotto anni, per morirvi di lì a poco di cancro. Dal materiale affiorato in analisi, l’omosessualità del sig. X è apparsa, più che una scelta, una strategia con la quale fare fronte all’angoscia scatenata dalla ricerca di una propria identità.
Uno sogno ricorrente, sia pure con qualche variante, nei primi tempi dell’analisi, sembra accreditare questa ipotesi.
Il sig. X è nella sua città. E’ notte fonda ed è in strada. Cerca la via dove abita ma non riesce a trovarla e nessuno sa indicargli dove sia. Una variante: E’ nell’androne del palazzo dove abita. Sale le scale per andare a casa ma non gli riesce di trovare il suo appartamento.
Possiamo supporre che la mancanza di una figura maschile di riferimento eccezione fatta per il fratello violento, abbiano portato il sig. X ad una identificazione massiccia con la madre dell’infanzia e a privilegiare di conseguenza gli aspetti femminili di base, soffocando quelli maschili. La impossibilità di organizzare una identità di genere in assenza di una integrazione delle due componenti di base ha avuto ripercussioni negative sulla evoluzione della costellazione edipica, bloccata nella dimensione filogenetica e caratterizzata pertanto da fantasie di possesso e da immobilità psichica come difesa dalla spinta evolutiva. Questa situazione ha avuto conseguenze drammatiche sulla configurazione egoica poco coesa e fragile. Per sentirsi esistere ha bisogno degli altri, pensa con la mente degli altri e non può che adeguarsi al volere degli altri, controllando gli altri in realtà controlla se stesso, nel tentativo di fare in modo che le cose restino quelle che sono. Il signor X ha un bisogno disperato di essere riconosciuto perché non trova nulla dentro di sé su cui fondare la propria personalità. Bloccato a livello psichico ad un funzionamento arcaico, i rapporti che può intrattenere sono sottesi da fantasie di possesso e di controllo onnipotente. Del partner dice: “Se cambiasse idea e mi preferisse un altro, io non so che reazione potrei avere. Non lo so ma il solo pensarlo mi terrorizza”.
Il signor X non tollera il silenzio, satura lo spazio-tempo delle sedute con i resoconti della sua attività onirica frammentata e confusa, che l’analista avverte come un attacco alla sua capacità di pensare. Si sente immobilizzato dal dire dell’analizzando, imprigionato in una nebbia fitta che soffoca i pensieri e annulla i riferimenti spazio-temporali e dalla quale fatica a venire fuori. Il signor X non è coinvolto in ciò che dice e malgrado il suo apparente controllo della dimensione temporale, spacca il minuto rispetto all’inizio della seduta e ne annuncia per primo la conclusione alzandosi dal lettino, non si ritrova in quanto soggetto nel tempo: il soggetto in lui è fuori dal tempo.
Dopo qualche mese dall’inizio dell’analisi l’analizzando sembra registrare la percezione di una dimensione emotiva ma non gli riesce di assegnarle un nome e un significato, non può farne esperienza. Una mattina arriva turbato in analisi e dopo qualche minuto di insolito silenzio dice:
“Il vento di questa mattina è il vento che c’è da noi, nel mio paese”.
L’analista chiede:
“Nostalgia”?
Si agita sul lettino, il viso irrigidito dallo sforzo a trattenere le lacrime. L’analista lo invita a parlare del suo paese, di ciò che vi ha lasciato e che il vento gli ha riproposto.
Dice: “Sento che c’è qualcosa da cui seguito a fuggire, ma non so cosa sia”.
Quando l’emozione inizia a farsi presente non può fare altro che bloccarla e con essa l’avvio della ricerca del proprio essere. E’ infatti sufficiente l’intuizione della possibilità di esperire una dimensione emotiva per mobilitare diversi meccanismi difensivi, mirati ad evitare l’angoscia profonda di andare in pezzi e impazzire. Può parlare ininterrottamente di cose futili o di frammenti di sogno confusi, oppure isolarsi in una situazione di inerzia e apatia. Nel tempo riesce anche a comunicare attraverso un sogno una rappresentazione delle sue angosce legate alla scissione dell’imago materna e alla conflittualità tra femminilità e mascolinità di base che sottende l’assenza di identità.
“Mi trovo in un appartamento vicino a una finestra che guarda su un giardino sottostante. Nel giardino una coppia. L’uomo inglese, la donna francese. Scavalco il davanzale e inizio a scendere aggrappato al muro. L’inglese mi dice di guardare un albero, sul quale c’è un angelo. Io gli dico che non è un angelo ma un uccello nero. L’uccello vola verso di me e beccandomi mi strappa pezzi di carne. Vuole farmi del male, vuole farmi precipitare.”
Gli interventi dell’analista successivi al racconto del sogno sono mirati a tentare di portare l’analizzando sulla propria verticale, dove potrebbe recuperare emozioni, sentimenti, affetti, mai riconosciuti finora.
— A Cosa le fa pensare l’angelo-uccello?
– A mia madre.
– Che significato ha per lei sua madre?
– Una persona che salva la vita. Dopo la morte di mio padre ho avuto una crisi…
– Vada avanti.
– Lei teme per la sua vita. Da chi o da cosa si sente minacciato? Vogliamo cercare insieme di dare un nome e un senso a questa angoscia?
– Una noia profonda, dilagante, noia di tutto, di me stesso, di vivere. Un abisso in cui sentivo di stare precipitando… Ho paura.
– Non abbia paura. Per la prima volta lei ha potuto dar voce alla sua sofferenza.
Nelle parole drammatiche dell’analizzando appare il tentativo di comunicare la sua angoscia per mezzo dell’immagine dell’abisso, dalla quale ha dovuto tenersi lontano perché il fondo era sconosciuto, forse vuoto. Poi sembra che l’abisso possa diventare una rappresentazione. A questo punto si può anche presumere che la massiccia identificazione con la madre abbia avuto paradossalmente una funzione rassicurante in quanto gli avrebbe evitato l’angoscia di separazione ed individuazione precludendogli però l’accesso all’organizzazione di una identità. Potrebbe essere che, identificandosi con la madre dell’infanzia, si sia passivamente adeguato alla fantasia materna di accudire una bambina e non un bambino. Questo potrebbe in qualche modo spiegare la crisi scatenata dalla morte del padre, nel quale potrebbe aver percepito la persona in grado di aiutarlo. Il sogno sembra indicare un processo in fieri. L’analizzando vi affronta un percorso rischioso per guardare da vicino la propria mascolinità, l’inglese estraneo a lui francese e la femminilità francese come lui e la madre, per porli l’uno accanto all’altra, descrivendoli nei termini di una coppia. Può inoltre guardare la scissione operata nella imago materna, la madre angelo che protegge e salva la vita e la madre arpia che divora e uccide. A me sembra che l’analizzando abbia rappresentato sulla scena del Sogno ciò che per lui non è ancora dicibile nella situazione di veglia. In questa prospettiva penso che ora sia in grado di affrontare un’analisi.
Bibliografia
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Resnik S. (1990). Lo spazio mentale. Torino: Boringhieri.