di Claudio Merini
La nostra vocazione dispone di noi, anche se non la conosciamo ancora; è il futuro che stabilisce la regola del nostro oggi.
(Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano.)
– Salve, dottore
– Buongiorno.
– Eccomi qui. Mi vede?
– Certo che la vedo.
– Allora oggi non è traviato dal materialismo – dice l’uomo accomodandosi in poltrona mentre l’analista si siede sul divanetto disposto perpendicolarmente alla poltrona. – Il materialismo ha distrutto la capacità dell’uomo di vedere. Siamo intossicati dai beni di consumo, invasi dai corpi. Scambiamo l’apparenza per essenza. È d’accordo?
– Direi di sì.
– D’altra parte il suo lavoro non avrebbe ragione d’esistere se fossimo corpi. Lei si occupa della psiche che è sostanza, anche se a me il concetto di psiche non piace. Preferisco il binomio anima-spirito: l’eterea femmina e il maschio di fuoco, l’una vagante nell’aria, l’altro teso come una freccia verso la cupola del cielo.
– È una bella immagine.
– Tra noi uomini di spirito ci si intende. Fuori di qui questi concetti non li posso esprimere. Mi prendono per matto e non sanno che i matti sono loro. Delirano credendo d’essere corpi, hanno allucinazioni davanti allo specchio.
– Lei cosa vede quando si guarda allo specchio?
– Non mi guardo mai allo specchio. Lo specchio è un’invenzione diabolica che ci vuol far credere che esistiamo in carne e ossa.
– Scusi, ma quando lei si tocca cosa sente?
– Sento me stesso, cos’altro dovrei sentire?
– Mi faccia capire meglio.
– Quando alla fine della seduta la saluto e le stringo la mano io sento la sua essenza. Quando mi tocco sento la mia essenza. Vado oltre l’apparenza. Capisce?
– Mi piacerebbe avere le capacità di non farmi incantare dall’apparenza.
– Comunque è sulla buona strada. Sono stato da suoi colleghi che volevano convincermi che ho un corpo. Uno di loro mi toccava per dimostrare che ero carne, come fossi un maiale o un vitello.
– Cosa sentiva quando questo mio collega la toccava?
– Sentivo che aveva un’anima misera e uno spirito da poco. Ho cercato di aiutarlo a innalzarsi, ma è stato inutile: era troppo contaminato dal materialismo delle sue teorie. Un altro dottore ha fatto finta di darmi ragione. Sciocco. Non aveva capito che io comprendo al di là delle apparenze e quindi nessuno può mentirmi con successo. Lei non mi crede pienamente, ma dubita anche riguardo al suo punto di vista. Questo mi basta per continuare a venire qui. Lei è il tipo che non crede di possedere la verità e dunque può trovarla. Potrebbe varcare il limite e passare nel mondo delle essenze.
– Lei quando l’ha varcato questo limite?
– Da adolescente. Avrò avuto circa sedici anni. Una mattina mi sono svegliato con la consapevolezza che vivevo in una realtà illusoria. Lo dissi a mia madre. Lei non capiva. Le spiegai che non solo la realtà ma anche il mio corpo e il suo erano illusioni, così come i corpi di tutti. Lei pensò che stessi scherzando. Non ne abbiamo più parlato. Lo dissi a Luca, l’unico amico che avevo. Lui mi ascoltò con attenzione e poi disse che ero fuori di testa. Così decisi che non meritava di essere mio amico.
– Era successo qualcosa di particolare prima di quella mattina in cui ebbe la consapevolezza che il suo corpo e la realtà erano illusioni?
– Niente di importante. Erano la mia anima e il mio spirito che finalmente prendevano il sopravvento. La realtà esterna non conta niente, semplicemente perché non esiste. Gli eventi interiori si autogenerano, non hanno bisogno di cause. Piuttosto sono tesi a un fine. Lei è traviato dal determinismo oltre che dal materialismo. Ma io l’aiuterò a liberarsene. Cause ed effetti, cause ed effetti, come se noi fossimo il prodotto di una catena di montaggio. Invece l’essere umano quando si libera dall’illusione aspira a qualcosa di più alto: la sensibilità dell’anima indica la direzione, la forza dello spirito è l’energia che serve per seguirla.
– Ma perché il corpo dovrebbe essere incompatibile con tutto questo?
– È ovvio: l’illusione di avere un corpo ci tira verso il basso, creando false sensazioni, falsi bisogni. Quando anni fa mi hanno ricoverato a forza in una clinica psichiatrica, ho visto con i miei occhi esseri umani ridotti a larve da una scienza che non riconosce l’essenza, che crede di guarire spegnendo il pensiero. Con me non ci sono riusciti, perché i farmaci li davano a un corpo che non c’era. Sciocchi. Ho fatto finta di credere di avere un corpo, così mi hanno rimandato a casa. Loro, al contrario di me, non sanno vedere oltre l’apparenza. Sono traviati da una scienza che produce teorie false, perché si basa su dati sbagliati. Invece di raccogliere dati empirici, gli scienziati dovrebbero catalogare le essenze e ordinarle in base al bersaglio a cui tendono.
– Le sue essenze a cosa tendono?
– C’è una forza che mi spinge verso l’alto. Però non mira a Dio, dato che non ci credo, né a qualche sorta di Olimpo, a cui pure non credo. Piuttosto penso che le mie essenze mirino a riunificarmi con altre anime e altri spiriti eletti. Ma questo sarebbe un primo passo per poi tendere verso l’Assoluto.
– L’Assoluto …
– Non posso spiegarle l’Assoluto con le parole. Potrei dire in modo impreciso che l’Assoluto è uno stato dell’anima-spirito in cui le due parti, anima e spirito, si riunificano.
– E se dicessimo che sono il maschile e il femminile ad unirsi?
– Così avrebbe un significato troppo sessuale.
(Silenzio)
– Aveva una ragazza quando faceva le superiori?
– Perché me lo chiede?
– Mi è venuto in mente a proposito della sessualità.
(Silenzio)
– C’era una ragazza che mi piaceva.
(Silenzio)
– Le piaceva molto?
– Sì. Ma io non piacevo a lei.
(Silenzio)
– Si era dichiarato?
– Sì.
(Silenzio)
– E cosa successe?
– Si mise a ridere.
(Silenzio)
– Immagino che lei ci sia rimasto molto male.
– No, era una stupida.
(Silenzio)
– Comunque non m’importa niente delle donne. Sono fatte apposta per creare le false sensazioni che sono alla base dell’illusione del corpo, distolgono dalla via che porta all’Assoluto. Gli uomini si rimbecilliscono per le donne.
– Quindi lei non sente la mancanza di una donna?
– No. L’uomo e la donna sono entrambi in me. La donna migliore che esiste è già dentro di me.
– La sua visione del mondo comporta una drastica riduzione dei bisogni, dei desideri e delle frustrazioni.
– Un grande desiderio io ce l’ho.
– Quale?
– Quello di elevarmi.
– Per non sentire le pulsioni del corpo e il desiderio di avere relazioni. Il suo desiderio di elevarsi potrebbe essere una difesa.
(Silenzio)
– Mi scusi, dottore, devo andare in bagno.
Il paziente esce. L’analista rimasto solo si pente dell’interpretazione data. Pensa che quell’improvviso bisogno corporale sia il segno dell’irruzione dell’angoscia nel suo interlocutore. Nel pronunciare l’interpretazione aveva subito avvertito che era prematura, ma non aveva fatto in tempo a trattenersi, un po’ come il paziente che era dovuto correre in bagno. Il pensiero dell’improvvisa incontinenza di entrambi lo fa sorridere. Intanto l’assenza del paziente si prolunga e dal bagno non giunge nessun rumore. L’analista inizia a preoccuparsi. Si ricorda di aver lasciato sul lavandino una forbice che gli era servita per aprire una confezione di salviette di carta. Si immagina come il paziente potrebbe usarla contro se stesso e viene percorso da un brivido. Si avvicina alla porta del bagno. Resta in ascolto. Nessun rumore. La sua preoccupazione cresce. È indeciso sul da farsi. Gli sembra un atto d’invadenza bussare e d’altra parte potrebbe essere fatale perdere dell’altro tempo se il paziente si sentisse male o avesse tentato il suicidio. Infine decide di bussare, ma mentre sta per farlo sente lo scroscio dell’acqua del water. L’analista ha un sussulto, velocemente si allontana dalla porta e torna al suo posto nello studio, maledicendo il pessimismo della sua immaginazione. Dai rumori provenienti dal bagno si capisce che il paziente si sta lavando le mani, probabilmente in modo accurato a giudicare da quanto ci impiega. A un certo punto torna il silenzio e il paziente non esce dal bagno. Cosa diavolo sta facendo! – sussurra a denti stretti l’analista con un moto d’intolleranza. Si alza e sistema delle carte sparse sulla scrivania. Poi dà un’occhiata alle piante del balcone. Ce n’è una che è spesso disidratata e necessita di continue innaffiature. L’analista è stufo di piante del genere, che sono totalmente prive di autonomia. Pensa che prima o poi si convertirà alle piante grasse. Intanto dal bagno non giunge nessun segno di vita. L’analista si convince che non è il caso di attendere oltre. Si avvicina alla porta del bagno e chiede: “Tutto a posto?”. Dall’altra parte si leva un flebile “sì”.
– Si sente bene?
La porta si apre. Il paziente esce lentamente, pallido in viso.
– Mi stavo preoccupando – dice l’analista.
– Di cosa?
– È rimasto tanto tempo in bagno. Temevo che si sentisse male.
– Sto benissimo – dice il paziente in tono molto distaccato.
Segue un lungo silenzio, durante il quale l’analista riflette su cosa può essersi scatenato nel suo interlocutore. Forse la sua interpretazione ha aperto una breccia e il corpo negato si è perentoriamente fatto sentire con un bisogno primario. Questo – pensa l’analista – ha ulteriormente messo in crisi il sistema difensivo del paziente, il quale ha dovuto aspettare di riprendere le briglie prima di uscire dal bagno, per non presentarsi a lui disarmato. Intanto il suo interlocutore guarda fisso davanti a sé e tace.
– Cosa c’è dietro questo silenzio?
– Sono caduto. Sto cercando di rialzarmi per ritornare sul sentiero dell’ascesa.
(Silenzio)
– Lei dovrebbe sapere – dice il paziente – che ciascuno ha un compito da portare a termine nell’arco della propria vita. Il mio compito è l’ascensione. Solo così posso vivere. Se fallisco nel mio compito per me non c’è vita.
– E il mio compito qual è? – riflette tra sé e sé l’analista – me lo sono chiesto tante volte. Mi sono spesso risposto che sono nato per curare. Per lavoro mi prendo cura delle persone, per passione curo le piante e gli animali. La mia vita è tutta un curare e mi sono ritrovato a farlo senza averlo programmato. Lo faccio per istinto o per una motivazione antica, cresciuta con me. Quando scrivo, invece, ho una doppia sensazione: da un lato mi sembra di compiere il mio dovere, come se la scrittura fosse un compito che, se svolto, mi fa sentire in pace con me stesso; dall’altro nello scrivere, così come in tanti lavori manuali, provo il piacere di costruire.
Intanto il paziente è rimasto in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.
– Com’è la sensazione o lo stato d’animo dell’ascesa? – chiede l’analista.
– Ci si sente come risucchiati in un’altra dimensione, si avverte la pienezza della spiritualità in contrapposizione alla vuota banalità del reale. L’anima-spirito si stacca da terra, vola, è senza peso.
– È una bella sensazione.
– Lei l’ha mai provata?
– Qualcosa di simile, credo.
– Non bisogna distrarsi dal proprio compito, altrimenti è facile smarrirsi, perdere se stessi. Lei dovrebbe aiutare le persone a trovare il proprio compito, ma se non è stato capace di trovare il suo non è in grado di farlo.
– Mi sa che ha ragione.
– La guiderò io.
– Sono curioso di vedere dove mi porterà.
– Quando sarà sulla sua strada, la riconoscerà all’istante, come se l’avesse già percorsa.
– Vedremo. Per oggi il nostro tempo è terminato.
Il paziente si alza lentamente dalla poltrona. L’analista lo accompagna alla porta. Dopo averlo congedato torna nello studio, si avvicina alla finestra che dà sul giardino: la luce giovane di maggio tinge le piante e i fiori di colori vividi. Un piccolo merlo da poco uscito dal nido saltella ignaro del mondo tra i ciuffi di menta, in attesa che uno dei genitori lo venga a sfamare con un lombrico appena sterrato. L’analista pensa a come in natura la vita e la morte s’accordino alla perfezione. Poi sente il bisogno di rinfrescarsi il viso e va in bagno. Si guarda intorno per vedere se è tutto in ordine e si accorge che manca la forbice.