Dal seno al sogno attraverso l’illusione

di Valentina Pieramico

pieramico

 

“Sognai che eravamo a Londra, nel nostro negozio preferito, dove c’era una scalinata circolare che collegava i vari piani. Correvamo su e giù per queste scale afferrando delle cose qua e là per farne dei regali di Natale ai nostri amici. Ce la spassavamo un mondo, sapendo che, come al solito, avremmo finito per tenere la maggior parte delle cose per noi. Improvvisamente, mi resi conto che Donald era vivo e pensai con sollievo: “Ora non mi dovrò più preoccupare per i biglietti di Natale! Poi stavamo seduti al ristorante, bevendo il caffè del mattino, come al solito (in effetti andavamo sempre a prendere il caffè al bar la mattina del sabato). Stavamo uno di fronte all’altra con i gomiti sul tavolo, quando io lo guardai dritto in faccia e gli dissi: “Donald, c’è qualcosa che dobbiamo dirci, qualche verità che dobbiamo dire. Che cos’è?” Con i suoi occhi azzurrissimi fissi nei miei, disse: “Che questo è un sogno”. Io risposi lentamente: “Ma sì, certo, tu sei morto. Sei morto un anno fa”. Ripeté le mie parole: “Sì, sono morto un anno fa”.
Fu con questo sogno di gioco che riuscii a sperimentare la vita e la morte, la sua e la mia, come una realtà” (Winnicott, 1995, p. 26).  Clare Winnicott

Il sogno di Clare, introduce il tema dell’illusione, che vorrei trattare.
La letteratura analitica (Freud, 1927), contrapponendo l’illusione alla realtà, alla ragione, all’intelletto, ha considerato la stessa con accezione negativa. E’ Winnicott a parlarci, per la prima volta dell’illusione in chiave positiva, riconoscendo in essa il fondamento ontologico del soggetto (Kluzer Usuelli, 1992). Nella relazione madre-bambino, la madre adattandosi progressivamente ai bisogni del figlio, permette un “momento di illusione, un brano di esperienza che il bambino può prendere sia come sua allucinazione sia come una cosa che appartiene alla realtà esterna” (Winnicott, 1945, p. 184). Quel seno che appare, proprio quando il bambino ne richiede la presenza, dà a quest’ultimo “l’illusione che esista una realtà esterna, che corrisponde alla sua propria capacità di creare” (Winnicott, 1951, p. 287). “All’origine, è necessario un semplice contatto con la realtà esterna, il bambino che percepisce in modo allucinatorio ed il mondo che dona, con momenti per il bambino in cui i due aspetti sono da lui considerati identici, mentre in realtà non lo sono mai” (Winnicott, 1945, p. 186). Lo spazio che si crea tra il seno e la bocca, sembra essere la prima scintilla di “quell’area intermedia di esperienza” che Winnicott definirà poi “oggetto transizionale” e “fenomeno transizionale” (Winnicott, 1951, p. 276), qualcosa che non è né appartenente totalmente alla realtà interna, né tanto meno a quella esterna, ma che proprio per queste qualità, permette al soggetto di tenere insieme le due realtà, senza sprofondare e perdersi in nessuna delle due. Forse è questo stato intermedio, la sostanza dell’illusione e molto probabilmente solo illudendosi è possibile passare dalla “pura soggettività all’oggettività” (Winnicott, 1951, p. 280). “I fenomeni transizionali rappresentano le prime fasi dell’uso dell’illusione, senza la quale non vi è, per l’essere umano, nessun significato nell’idea di una relazione con un oggetto che è percepito dagli altri come a lui esterno” (Winnicott, 1951, p. 287). Il regno dell’illusione, in altre parole, è alla base delle prime esperienze e permette l’approdo a una vera e propria relazione oggettuale. Ora se all’inizio la madre deve illudere, nel tempo, è fondamentale che permetta al bimbo delle esperienze di delusione: inadeguatezza, non rispondenza, disattenzione; tutti eventi che aiutano il soggetto a separarsi, percependo i propri confini. La traumaticità o meno di questo passaggio illusione-delusione, dipende da quanto quell’impercettibile spazio seno-bocca si è allargato, divenendo un’area sempre più vasta, popolata di fenomeni transizionali, rappresentanti simbolici dell’unità primitiva. Nel gioco, nella musica, nell’arte, nella religione, nel sogno si materializza l’illusione, fondata sull’esperienza del rapporto primario, della congruenza tra sé e la realtà esterna. Siamo in queste arti creative, fiduciosi e illusi che l’altro, pur separato da noi, ci corrisponda e che il mondo esterno mantenga una certa coerenza (Kluzer Usuelli, 1992). L’aver attraversato precocemente e adeguatamente le esperienze di illusione e di delusione, con l’aiuto di quell’area intermedia transizionale, apre a ognuno la possibilità di riviverle costantemente, passando in ogni attimo della propria esistenza dalla fantasia alla realtà e viceversa, mantenendo così un’illusione che non deforma l’oggettività del mondo esterno, ma che piuttosto l’arricchisce.
Nelle battute finali di quest’articolo, proviamo per un attimo a entrare anche noi, come fa la moglie di Winnicott attraverso il suo sogno, in “quell’area intermedia di esperienza” (Winnicott, 1951, p. 276).
Siamo a Londra. Dalla vetrata di un negozio vediamo due adulti che giocano. Sono così coinvolti tanto da catturare il nostro cuore, facendolo battere al ritmo dell’intimità, dell’amore. E’ il ritmo della vita. Donald è vivo e per dirla tutta, nessuno a una prima osservazione poteva pensare il contrario. Ma i suoi occhi azzurrissimi fissano anche noi e ci dicono che questo è un sogno, non è la realtà oggettiva. Quest’ultima è impressa sulla pelle di Clare: la sofferenza, il dolore, la solitudine per la perdita del suo amore. Il cuore si arresta, Donald è morto. E’ questa la durezza dell’oggettività, ma per fortuna noi siamo in uno spazio in cui è possibile intenerirla, in cui i vissuti di Clare, come i nostri, trovano un posto per la trasformazione e la pensabilità.
In quale luogo, se non nella profondità dell’inconscio, è possibile essere contemporaneamente vivi e morti, allegri e disperati? E in quale luogo, se non in quell’area intermedia tra realtà interna e realtà esterna, è possibile rendere la morte, un’esperienza vitale?
La signora Winnicott è proprio nella sua zona di transito onirica, illusoria ma contemporaneamente reale, che può viversi l’incontro tra la morte e la vita, dando un senso alla propria esperienza. E’ in questo spazio che Clare può fare i conti con la realtà interna e la realtà esterna, in un modo giocoso che rende l’oggettività del lutto sopportabile. Nel sogno, Donald, suo marito, può essere morto perché tenuto in vita simbolicamente. E’ un’illusione, ma è anche qualcosa di reale, un modo di trattare la realtà in forma soggettiva. “Il sogno penetra nel mondo reale, nel rapporto con gli oggetti, e il vivere nel mondo reale penetra nel mondo dei sogni” (Winnicott, 1971, p. 55). Forse è questa l’illusione che fa bene alla mente, quella che accetta il paradosso della contemporaneità della vita e della morte, che tollera le contraddizioni, le rispetta, che tiene insieme le cose impensabili rendendole pensabili, che lega presenza e assenza, che fa del dolore un’esperienza creativa e vitale. Poter far uso dei propri sogni, afferma Winnicott (1971), “ha in sé della poesia”, “quel senso riferito al passato, al presente e al futuro, al di dentro e al di fuori” (Winnicott, 1971, p. 68). Non poter accedere, invece, a questo spazio transizionale, sembra relegare il soggetto in un’area limitata, quella del “fantasticare” (Winnicott, 1971, p. 55), del “sognare a occhi aperti” (Winnicott, 1935, p. 158), che altro non sono che “manipolazioni onnipotenti della realtà esterna” (Winnicott, 1935, p. 158), volte, piuttosto che ad arricchire e trasformare il mondo interno-esterno, a fuggirlo. Le esperienze cliniche di Winnicott (1935; 1971), ci parlano così anche di un’illusione non trasformativa, volta a eliminare la contraddizione, il conflitto, il dolore. Se Clare si fosse trovata impossibilitata a sognare, nel tempo, la separazione e la perdita, respingendo la disarmante realtà oggettiva del lutto, avrebbe probabilmente accostato un impoverimento importante e drammatico della sua vita emotiva. La possibilità di far uso, invece, di “quell’area intermedia di esperienza” (Winnicott, 1951, p. 276), ci ha portati ad arricchirci del suo sogno, visitando le nostre parti desolate e moribonde e aprendoci a quelle vitali, passionali e creative, esattamente come sembra accadere in lei in quel negozio di Londra.

Bibliografia

Freud, S. (1927). L’avvenire di un’ illusione. O.S.F.10.

Kluzer Usuelli, A. (1992). The Significance of Illusion In The Work of Freud and Winnicott: a Controversial Issue. Int J. Psycho-Anal. 19,179.

Winnicott, D. (1935). La difesa maniacale. In Dalla pediatria alla Psicoanalisi. Firenze: Martinelli, 1975.

Winnicott, D. (1945). Lo sviluppo emozionale primario. In Dalla pediatria alla Psicoanalisi. Firenze: Martinelli, 1975.

Winnicott, D. (1951). Oggetti transizionali e fenomeni transizionali. In Dalla pediatria alla Psicoanalisi. Firenze: Martinelli, 1975.

Winnicott D. (1971). Sogno, fantasia e vita reale. In Gioco e realtà. Roma: Armando Editore, 2006.

Winnicott, D. (1995). Prefazione. Donald W. Winnicott: una riflessione. In Esplorazioni psicoanalitiche. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1995.

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