di Laura Grignoli
Mentre attende alle consuete faccende domestiche, la musica e la voce malinconica di Leonard Cohen scherzano con le emozioni di una matura signora in uno sfalsamento di tempi e di luoghi, dove una ragazza impacciata è alle prese con i suoi problemi giovanili. Ecco il viaggio in treno per il primo lavoro statale a Chioggia. Le immagini di un tempo che fu tornano nitide in una successione montata quasi da uno sceneggiatore da oscar… T. appiccicata col naso al vetro della finestra volge gli occhi all’ultima tempesta di questo strano inverno, ma la visione, in un’inverosimile inversione di marcia, si dirige verso un luogo lontano i cui orli sfrangiati dal tempo, che nulla risparmia, riprendono miracolosamente compattezza e i colori rinfrescati dalla nostalgia. Cosa sarebbe la vita se non avessimo la capacità di spostare il carrello di regìa avanti e indietro? Il tempo della nostalgia qual è? Tra il ‘mai più’ e ‘il non ancora’ c’è il presente.
Si può parlare di ‘nostalgia del presente’? Sembrerebbe antitetica la parola nostalgia al concetto di presente, eppure esiste questa espressione ossimorica in una bellissima poesia di Borges (1). Sembra quasi un paradosso associare la nostalgia al presente perché abitualmente abbiamo esperienza di questa emozione quando l’associamo ai ricordi del passato. Eppure il termine nostalgia inizialmente non riguardava propriamente il tempo bensì lo spazio. Era il cosiddetto ‘mal du pays’, emozione intensa e dolorosa che provavano i soldati in guerra lontano dalla loro terra e dalla loro famiglia. Al luogo che più non ci appartiene, al tempo che è già stato e che mai più ritorna, corrisponde un altro luogo, che niente può cancellare e niente consuma: la terra della nostalgia.
Tra il ‘mai più’ e il ‘non ancora’ ci sono le rovine di quel tempo su cui è rivolto lo sguardo dell’Angelus novus di Benjamin: speranze mai realizzate, felicità mai vissute, in attesa di un senso e di un compimento. La nostalgia si pone come un possibile ritorno, un nostòs immaginario che permette il ricordo di uno stato di cose consumato, finito. Capita che lo sguardo diventi addomesticamento allucinatorio di quel che è stato. Ovvero: nell’irreversibile e nell’oblio la memoria apre varchi… Sì, credo che la nostalgia sia una reazione all’irreversibile.
Il vero oggetto della nostalgia, suppongo, non sia l’assenza contrapposta alla presenza, ma il passato in rapporto al presente. Sebbene travolga chi è lontano da quel che vorrebbe vicino, la nostalgia non si cura tornando sui luoghi ma il vero rimedio sarebbe il poter tornare indietro nel tempo.
Qualche mese fa son tornata a New York dove mi ero recata venti e più anni orsono, ne provavo una nostalgia immensa, struggente. Avevo covato un ricordo talmente struggente che nel mio intimo la Grande Mela aveva assunto connotati quasi magici per gli stimoli che un ventennio prima ne avevo tratto. Il ritorno sui luoghi però non ha curato il mio struggimento, anzi… il viaggio mi ha riportato al punto familiare, ma nel frattempo io ero ‘invecchiata’…
‘Lisbona torno a rivederti ma io non mi rivedo’ – recita Pessoa in una sua poesia. Con la mente, a volte con tutto il corpo, torniamo in quel luogo ma il tempo non torna mai più. – Il ritornare inverte l’andare…- penso. Simbolicamente è come se alla vita di andata volessimo far conseguire un ritorno indietro, un riavvolgimento del nastro…
E poi c’è una nostalgia del presente quando essa scippa la vitalità al tempo in atto, quando si assiste a un’emorragia vitale, quando si ha la sensazione di non vivere abbastanza pienamente il presente, come se quello che sta accadendo vada sparendo senza lasciare nemmeno la consistenza di una traccia. La fotografia, forma d’arte tra le altre, non è forse nostalgia del presente? Immortaliamo il tempo, in uno scatto dell’istante, e il luogo, depositandolo nell’archivio del ricordo. Fissiamo la nostra immagine in un autoscatto che non subirà la sorte di quello di Dorian Gray…
Esiste anche una nostalgia preventiva. Per esempio quando buttiamo giù una poesia e decliniamo in immagini verbali l’emozione del momento per eternizzarla nei versi che faranno rivivere a noi, talvolta anche ad altri, lo stato emozionale di ora e per condensare in pochi versi un’intensità che non possiamo trattenere. La poesia è la residenza intima della nostalgia: nostalgia di un amore, presagio di una mancanza, lutto del tempo che passa…
L’emozione nostalgia muove da sempre l’espressività dell’arte. Direi che la nostalgia è un ‘topos’ dell’arte: da che mondo è mondo gli artisti ‘arti-colano’ la nostalgia. L’Ulisse omerico è l’epigono della letteratura nostalgica. Se Omero fosse vissuto in questo secolo avrei sospettato che fosse stato influenzato dalla psicoanalisi, tanto è profondo il concetto di nostalgia come desiderio del ritorno ‘a casa’ di cui sono intrise le vicende del suo eroe. Se l’emozione della nostalgia, dunque, era ben conosciuta dall’essere umano da sempre, il termine è relativamente recente. Come ho detto il termine nostalgia, nostos e algos, era la malattia dei soldati combattenti lontano dalla loro terra. Dalla lontananza spaziale il termine andò man mano includendo per assimilazione anche quello di lontananza temporale.
Sensore ed epigono di questo genere di nostalgia è Proust che nel suo capolavoro ‘La recherche du temps perdu’ riassume il senso psicologico e somatico di questa emozione. L’uomo è un animale nostalgico, non sa vivere solo nel presente: vive tra l’attesa (futuro) e la nostalgia delle origini (passato). Da Omero a Kavafis, da Saffo a Pasolini, il tema centrale della letteratura e dell’arte è la nostalgia.
Oggi la nostra società, mirando al piacere a tutti i costi, negandosi il dolore, tende ad abolire la nostalgia e con essa nega il passato. Mi viene da pensare, però, che, se aboliamo la nostalgia, viviamo un’illusione infantile perenne, perché la nostalgia in fondo incarna il principio di realtà. La nostalgia ai nostri tempi è cambiata: non rimpiange soltanto la casa lontana, i giochi dell’infanzia, gli amori della giovinezza, i piaceri del passato. La nostalgia contemporanea ha per oggetto piuttosto l’impossibilità di vivere il presente, sempre più fuggevole e inafferrabile. Il dolore per la mancanza del presente aprirebbe una riflessione filosofica sui cambiamenti frenetici di una contemporaneità globalizzata ancora da collocare nella riflessione psico-filosofica. E non ho interlocutori per infilarmi in questo dibattito di cui avverto solo epidermicamente la portata storica. Tuttavia, su un piano puramente empirico e clinico, mi confronto da molto tempo con le nostalgie ‘mascherate’, con quei sentimenti espressi nelle produzioni artistiche dei miei pazienti in arteterapia. E’ mia opinione, e non solo mia, che l’arte sublimi la mancanza. Anche il gioco a volte, come nel caso seguente.
Una mia paziente, ‘adolescente’ sulla cinquantina, con sufficienti interessi e una buona cerchia di amici, continua a inserire nei suoi racconti che per lei è un’esigenza impellente isolarsi a fare in santa pace le parole crociate. Ogni momento è buono per appartarsi col suo giornaletto in mano a lambiccarsi il cervello dietro alla ricerca di una parola che le sfugge e che poi con tanta fatica riesce a trovare. Solo così riesce a distendersi e rilassarsi. Mi incuriosisco in quanto talvolta faccio i cruciverba solo in treno e dopo poco lascio stare perché preferisco di gran lunga i giochi della mia immaginazione dove i ricordi prossimi o lontani si mescolano nel caleidoscopio delle emozioni. Lei, senza forse neanche rendersene conto, mi dice talmente spesso la faccenda delle parole crociate (usa questa espressione e non quella latina di cruciverba) che comincio ad inserire nel mio database mentale questa immagine di lei che si chiude in camera tranquilla a perdersi nella ricerca del termine nascosto dietro le perifrasi in un contesto nuovo. Lei sublima la mancanza. La sua vita è costellata di lutti, di cui il più recente l’ha portata in terapia. Il fatto è che lei non riempie il tempo in un modo qualsiasi. C’è chi esce, chi va a fare shopping, chi si circonda di amici… Lei ‘riempie’ caselle vuote, provando ogni volta il piacere e l’ebbrezza di aver colmato quel vuoto. Una sensazione che conosco bene. Somiglia alla magia di far apparire immagini su una tela bianca, al fermare per sempre un momento su una foto. Ho appreso dall’esperienza che se la storia è lineare, la nostalgia è una linea curva. La linea prima o poi torna su di sé.
A proposito di linee: mi colpisce dei pazienti in arteterapia il modo in cui disegnano. Portano avanti il disegno in una sorta di progetto mentale, seguendo linea dopo linea come un algoritmo. Arrivati a un dato punto le persone si differenziano tra loro: ci sono quelle che hanno fretta di arrivare alla fine, che tentano l’anticipazione e quelle che, al contrario, tornano indietro, ripetendo il percorso grafico a ritroso, a ritrovare la partenza, come a volerla riafferrare. Questi ultimi sostano sui dettagli, ripescando nella memoria i minimi particolari. Se i primi hanno nostalgia del futuro, quest’ultimi hanno nostalgia del passato.
La nostalgia del futuro a cui accennavo è piuttosto uno stato d’animo che somiglia al desiderio. Gli artisti lavorano su questa base perché è dal desiderare che fluisce l’immaginazione. Esiste pure una nostalgia chiusa che è paura del futuro e una nostalgia ‘aperta’ che usa il ricordo del passato per creare il nuovo. Perché la nostalgia tende a sopraffarci, a struggerci? Perché si prova dolore anziché il piacere di riafferrare qualcosa di perduto? Credo perché sentiamo l’incompletezza. Avvertiamo la nostra finitezza.
Pessoa parlava di ‘saudade’ per descrivere una sorta di nostalgia, ma con elementi che vanno oltre la semplice nostalgia. Se la nostalgia ha in sé elementi mnemonici, la saudade è un sentimento vago, un desiderio indefinito. La saudade viene dal cuore non dalla ragione. Il saudoso cerca luoghi solitari perché in sintonia con il proprio stato d’animo. De Pascoes, altro poeta portoghese, fece della saudade una religione e fondò il saudosismo, interpretando l’essenza dell’anima lusitana. Di quest’anima fa parte anche la loro musica, pensiamo al ‘fado’ o al tango…Per toccare appena le arti visive e capire se la nostalgia o la saudade riescano ad essere talvolta fonte di creatività, accenno al cosiddetto Favelas painting Project, che consiste in un progetto che trasforma gli spazi pubblici di comunità sociali degradate in opere d’arte. Sono considerate arte non necessariamente perché esteticamente belle, ma perché, servendosi della base (passato) colorano con i colori della speranza (futuro).
Ci sono, e quali eventualmente, le esperienze estetiche della società di massa che alimentano e producono il sentire nostalgico? Come potremmo definire il tempo presente di cui la contemporaneità prova un’inestinguibile nostalgia? E infine, la nostalgia del presente descrive l’apertura a un viaggio inesauribile proiettato nel futuro o si ha una sorta di paralisi dell’azione che relega nel passato tutte le aspettative? Domande che troveranno spazio, magari provvisorie risposte, nei miei futuri pensieri.
Ora so. La nostalgia nutre. La nostalgia ispira la creazione. A Dio mancava l’uomo, perciò l’ha creato. A volte basta chiudere gli occhi e rintracciare una voce per procurarsi i sogni. Per convocare l’assente.
Note
(1) In quel preciso momento l’uomo si disse:
che cosa non darei per la gioia
di stare al tuo fianco in Islanda
sotto il gran giorno immobile
e condividere l’adesso
come si condivide la musica
o il sapore di un frutto.
In quel preciso momento
l’uomo stava accanto a lei in Islanda.
(Borges)
Bibliografia
Borges J. L. (1985) Tutte le opere, Mondadori, Milano
De Pascoes T. (1988) O saudosismo e a alma portuguesa, in F.Grimaraes, Poetica do saudosismo, Lisboa, Presença.