di Claudio Merini
Delusione, sorgente limpida e lenta della malinconia,
quante volte mi hai dissetato tra i miraggi di questo deserto!
– Ieri sono stata molto male… Ho fatto una cosa che non dovevo fare. Lo sapevo, ma l’ho fatta lo stesso.
(Silenzio)
– Rimettendo a posto il ripostiglio, ho trovato quella borsa. Anni fa l’avevo nascosta lì. Non me ne ricordavo più… Però era chiusa a chiave. Sa, quelle borse da ufficio che hanno una serratura. Era ricoperta dalla polvere. Quando l’ho vista ho avuto un tuffo al cuore…
(Silenzio)
– L’ho spolverata… l’ho lucidata con un prodotto per pulire la pelle. L’ho accarezzata e intanto piangevo, senza singhiozzi. Le lacrime venivano giù lente, come non mi succedeva da tempo… Potevo rimetterla a posto e basta, finirla lì, senza farmi del male. Ma io sono brava a farmi del male. Lei lo sa. Una volta mi ha detto che sono una specialista in questo. Mi fece uno strano effetto sentirmelo dire: da un lato mi sentii senza scampo, vittima di me stessa, dall’altro ebbi la sensazione di avere un’identità, di essere qualcuno con una forma ben determinata, addirittura una specialista… Almeno sono brava in qualcosa. Bella consolazione.
(Silenzio)
– Anche raccontarle cosa è successo ieri, mi farà del male.
(Silenzio)
– Ne è sicura? Può darsi che non sarà così.
(Silenzio)
– Sono andata a cercare la chiave della borsa… Non la trovavo. Ho rovistato in vari cassetti. Niente. A quel punto avevo assolutamente bisogno di aprire la borsa. Ho pensato di forzarla, ma non volevo rovinarla. E poi volevo poterla richiudere a chiave. Mi sono agitata. Ho preso un cassetto e l’ho rovesciato per terra e sono rimasta in ginocchio a cercare tra le mille cose che conteneva… Sono una collezionista di piccoli oggetti che mi ricordano momenti della mia vita. Posso buttare le cose grandi, ma quelle piccole e apparentemente insignificanti no. Le nascondo e le conservo. Sono dei promemoria, visto che della mia memoria non mi fido tanto. Un orecchino che era in quel cassetto, ad esempio, mi ha fatto ricordare del giorno in cui persi l’altro durante una passeggiata in montagna, a Pian delle mele, insieme al mio cane, quello che avevo vent’anni fa. Quel giorno, nel bosco, da sola col mio cane, immersa nella luce filtrata dalle fronde degli alberi a un certo punto mi sentii immensamente felice, senza un perché. Non stavo pensando a niente. Ero felice e basta. E quando mi accorsi di aver perso l’orecchino fui ancora più felice. L’orecchino d’oro perso nel bosco sarebbe rimasto lì, nascosto tra le foglie secche, magari per secoli, a testimoniare quell’attimo di felicità gratuita… a testimoniare un piccolo miracolo.
(Silenzio)
– E’ difficile vivere così… attenti alle piccole cose, ai movimenti dell’animo… ci si sente in balia del mondo… e si sente anche tutto ciò che fa soffrire. Io sono un amplificatore: un minimo segnale diventa un suono assordante. Dovrei imparare almeno a regolare il volume.
(Silenzio)
– Alla fine ho trovato la chiave, ho preso la borsa e mi sono detta che stavo sbagliando… ma ho infilato lo stesso la chiave, che però non girava perché la serratura era arrugginita. Meglio così, ho pensato, lascia tutto com’è, lascia che il contenuto resti lì, come l’orecchino nel bosco. E invece sono scesa in garage a cercare lo Svitol – sa, quel prodotto lubrificante che ha un nome da ridere… “Svitol” mi fa pensare a lei, al lavoro che fa con gli svitati come me, per sbloccarli. Lo Svitol ha funzionato e dalla borsa appena aperta è uscito un odore di carta ammuffita. Erano lì, raccolte in pacchetti stretti da cordoncini, le lettere.
(Silenzio)
– Non ricordo quando le avevo viste l’ultima volta, forse dieci anni fa. Ogni pacchetto un uomo diverso. Ogni pacchetto un’epoca della mia vita. Sono cresciuta, mi sono distrutta, sono rinata e rimorta dentro quelle relazioni.
(Silenzio)
– Ho chiuso gli occhi e ho preso un pacchetto a caso. E sempre a occhi chiusi ho slacciato il cordoncino che lo avvolgeva e ho scelto una lettera, come da un mazzo di carte. Era una mia lettera. Scrivevo le lettere in due copie. Una la spedivo, l’altra la tenevo per me. Quando l’ho guardata sono stata colpita da quanto era diversa la mia calligrafia. Allora era tonda, regolare, un po’ inclinata verso destra. Ora è spigolosa, nervosa e va verso l’alto o il basso. L’ho letta come in trance. Sembrava scritta da un’altra persona, non da me, una persona piena di vita e di immaginazione, affettuosa. Non mi sembrava possibile d’essere stata così – anzi, non mi sembra.
(Silenzio)
Ho letto una lettera dietro l’altra – le mie e le risposte di lui – in un crescendo di ricordi.
(Silenzio)
– Non è giusto… Non è giusto che la vita si porti via tutto… che si porti via le illusioni… Sì, erano soltanto illusioni… sogni da cui mi sono amaramente svegliata.
(Silenzio)
– Ho amato molto… o mi sono illusa di aver amato. Ho creduto d’essere amata.
(Silenzio)
– Non lo so… forse ho sempre e soltanto amato una parte di me che di volta in volta proiettavo in un uomo… Ho amato l’anima… non l’anima gemella… l’anima.
(Lungo silenzio)
– E com’era l’anima che ha amato?
(Silenzio)
– Era fragile… inadatta al mondo e aveva bisogno di qualcuno che la riconoscesse… e la curasse.
(Silenzio)
– Non m’innamorerò mai di lei, dottore. Non la voglio perdere come ho perso gli altri uomini. E’ da tanto che glielo volevo dire. Mi sono sempre sforzata di guardarla per quello che lei è: lei mi accoglie e mi capisce a pagamento, è il suo lavoro e basta. È giusto che sia così… Poi magari la sogno e lì è tutta un’altra storia… Sono sogni che mi danno un po’ di felicità e mi bastano. La voglio far finita con i tentativi di far diventare realtà i sogni. Basta. Ci ho provato per una vita. I sogni bisogna lasciarli nel loro mondo. Se li strappi dalla loro terra si seccano e muoiono.
(Silenzio)
– Lascerò me stessa in questa stanza, come l’orecchino nel bosco.
(Silenzio)
– Allora io sarò il custode del suo orecchino… Ma lei è davvero sicura di non avere ancora qualcosa da realizzare?
(Silenzio)
– Questo voglio realizzare: non inseguire più i miei desideri, li voglio sentire e basta, come una reminiscenza del passato; voglio essere libera. Gli uomini per me sono stati una specie di tossicodipendenza. Non ne ho mai potuto fare a meno e ci ho speso gran parte delle mie energie. Come se il mio esistere dipendesse dalla presenza di un uomo accanto a me… Mi sarei dovuta dedicare di più al mio lavoro, ai miei interessi.
(Silenzio)
– Venerdì scorso non ho lavorato. Sono uscita di casa presto per andare al mercato, c’era il sole e un’aria di primavera. Guardavo le donne intente a scegliere la merce dai banchi… Ho provato una gran pena per loro… Quanti sogni avranno perduto, pensavo. Eppure ce n’era qualcuna che sembrava felice… forse perché c’era il sole… o magari perché un ambulante le aveva fatto un complimento… o solo perché era fuori di casa e c’era qualcosa che assomigliava alla libertà della giovinezza… quando ancora tutto è possibile. E mi è venuta in mente una canzone di Patty Pravo che dice: “Vorrei che piccola così, bastasse sempre al cuore mio, la vita che riscalda una mattina d’estate”. Ho cominciato a canticchiarla tra me e me, sottovoce, mentre sceglievo delle calze. Quello della bancarella a un certo punto mi ha detto: “Signo’, sei contenta stamattina?! E brava la signora, che canta da sola”. L’ho guardato, lui mi ha strizzato l’occhio, io ho sorriso, ho pensato che era uno dei soliti acchiapponi e me ne sono andata.
(Silenzio)
– Qual è adesso “il suo fiore in un bicchiere”?
– E’ la mia anima… da sola… e il bicchiere è lei… questo luogo che ogni settimana mi accoglie e non mi chiede nulla… e mi permette di essere me stessa.
(Silenzio)
– È molto bello quello che ha appena detto… è seduttivo.
– È la verità… Non la voglio sedurre. Se lo sto facendo senza accorgermene, sarà per via di un vecchio vizio, ma glielo giuro: non voglio proprio sedurla… perché non la voglio perdere.
(Silenzio)
– Tra quelle lettere ce n’erano alcune indirizzate a un uomo che ho frequentato per poco tempo. Erano incontri radi, clandestini. Le nostre vite non si sono mai unite. Lui non si è mai fatto afferrare, né conoscere veramente e io ne soffrivo. Ma ieri mi sono resa conto che forse è la relazione più bella che ho avuto, l’unica di cui ho nostalgia. Lui è rimasto un sogno e si è salvato, da me e dalla realtà… Posso ancora desiderarlo… come qualcosa di incontaminato… Qualche anno fa mi aveva telefonato: voleva rivedermi. Io ho rifiutato. Poi gli ho scritto una lettera per spiegargli che volevo mantenere intatto il ricordo di noi, di quello che avevamo vissuto, che sarebbe stato irripetibile. Se ci fossimo frequentati di nuovo, avremmo distrutto quello che miracolosamente era rimasto un sogno… E io ho bisogno di mantenerlo questo sogno. L’unico sogno che non si è trasformato in un fallimento.
(Silenzio)
– Non sarà che lei pretende un po’ troppo dalla realtà?
– Può darsi… La realtà è avvilente… io la sento così… Mi sono abituata da bambina a vivere di fantasie… La vita normale, quella vera, per me è inaccettabile, è una tomba.
– Capisco.
– Chissà se mi capisce davvero. Lei sembra una persona che nella vita ci naviga bene, al contrario di me.
– Ma lei non viene qua per imparare a navigare, ammesso che in questo io sia un maestro.
– No, non vengo per questo motivo.
– E perché viene qua?
– Perché questo è un posto staccato dalla realtà. Un modo di stare insieme che non esiste, se non qui. Questo è un posto in cui le illusioni tornano alla luce. Spesso quando vado via da qua mi sento più leggera, mi fermo alla pasticceria qui sotto e mi prendo un cannolo ripieno di cioccolato e un caffè; poi mi metto seduta al tavolino e penso a qualcosa che ci siamo detti.
(Silenzio)
– Chissà a cosa ripenserà oggi, di questa seduta.
– Forse penserò a lei che tiene in custodia il mio orecchino. (Pausa) Magari potrei portarglielo veramente l’orecchino che mi è rimasto. Lei lo accetterebbe? E non mi risponda con una domanda.
– Era quello che stavo per fare.
– Lo so che è contro l’etica professionale accettare dei regali dai pazienti. Ma questo non sarebbe un regalo.
– Cosa sarebbe?
– Un modo per continuare a essere qua anche quando non ci sono.
– Capisco.
– Sa, è buffo quando mi risponde “capisco”.
– Perché?
– Non so… Lo fa come per coprire un vuoto, come se in quel momento non volesse lasciarmi sola.
– È vero, a volte è così.
– È ora che vada a prendere il mio solito cannolo, vero?
– Sì, è ora.
Paziente e terapeuta si alzano e vanno verso la porta
La paziente, uscendo. – Allora ci pensi all’orecchino, mi raccomando.
– Va bene.