di Simonetta Forcini
“Ci sono momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati e non si sa più che fare. A questo punto comincia la danza” Pina Bausch
Il segreto è un elemento di informazione tenuto nascosto agli altri evitandone la comunicazione. Omettere di rivelare un contenuto, crea una zona d’ombra all’interno della psiche, di cui entra a far parte il segreto. Al pari dei caratteri ereditari, trasmessi geneticamente, ereditiamo vissuti, non sempre conosciuti o conoscibili, di cui portiamo traccia e che divengono patrimonio del corredo transgenerazionale. L’indicibile, divenuto segreto e tenuto nascosto alla coscienza, incide e determina scelte e comportamenti. Tutto inevitabilmente parla di noi e comunica più di quanto si voglia o si è consapevoli di comunicare: la postura, il modo di procedere, la gestualità quotidiana, la scelta professionale, il nostro stesso nome… Di solito il materiale oscuro riguarda eventi disonorevoli, disapprovabili e indicibili per la violazione di una regola morale, così che sul segreto si strutturi un mito, con la funzione di dissimulare una regola che deriva dal segreto stesso. Le esperienze traumatiche mal elaborate, l’intervento dei meccanismi di difesa, cuscinetto all’integrità dell’Io, e quanto di inaccettabile e carico di vergogna entri nel campo della nostra esperienza e oggetto di valutazione, diviene rifiutato e messo da parte. Diniego e scissione impediscono al contenuto doloroso di poter essere svelato e, attraverso la rivelazione, di prenderne distanza e di interromperne la ripetizione. Il vissuto traumatico rimane scritto nella memoria del corpo e, attivare la capacità simbolica del corpo attraverso la danza, è un modo di contattare il contenuto del segreto e integrarlo nell’esperienza dell’Io.
In seguito al distacco personale e professionale da S.Freud, Jung attraversò un periodo, dal 1912 al 1919, di profonda crisi. Per conoscere e superare il proprio stato d’animo si abbandonò agli impulsi e alle immagini provenienti dal proprio inconscio, trasportato dal gioco simbolico. Seguendo le proprie immagini interne e le emozioni ad esse legate, creando un vuoto a-finalistico, poté sperimentare che il materiale inconscio emerso diveniva comprensibile in un momento successivo all’esperienza stessa e oggetto di elaborazione. Chiamò questo processo “immaginazione attiva”, un’attività che, contrariamente al sogno, prodotto unicamente dall’inconscio, poteva essere un’esperienza che metteva in relazione conscio e inconscio. Nell’immaginazione attiva l’individuo entra in modo cosciente e totale nell’esperienza, crea una relazione dialogica tra coscienza e inconscio consentendo, al materiale sconosciuto e segreto di rivelarsi, di essere riconosciuto, risignificato e trasformato. Le attività creative ed espressive di cui la danza è una forma, rappresentano il processo dell’immaginazione attiva, sperimentato da Jung su se stesso. In un articolo del 1916, “La funzione trascendente”, Jung propone il movimento del corpo come uno dei linguaggi dell’inconscio, di cui fanno parte le forme di arte in genere. La sua intuizione trovò applicazione successivamente, nella danzamovimento terapia, la quale sostiene l’attività dell’immaginazione attiva attraverso il movimento, nella visione integrata dell’individuo come unità somato-psichica, le cui componenti sono legate da un rapporto di costante e reciproca interazione. Il corpo biologico possiede una propria intelligenza e memoria e pertanto il movimento può facilitare l’emergere di contenuti segreti, investiti di carica emotiva.
L’immaginazione attiva attraverso la danza ed il movimento, basati sull’orientamento junghiano, ha avuto il suo sviluppo a partire dagli anni sessanta, negli Stati Uniti d’America, in seguito all’incontro tra la danzamovimento terapia e la psicologia del profondo, dando origine al “movimento autentico”, grazie all’opera di Mary Stark Witehouse, danzatrice e analista junghiana. In tale attività il movimento del corpo si dice autentico poiché nato da un impulso inconscio e non intenzionale. Nell’esperienza dell’immaginazione attiva attraverso il movimento del corpo, la danza espressiva dell’inconscio conduce il dialogo tra l’esperienza inconscia e la coscienza, le sensazioni si traducono in immagini e le immagini in movimento. Dagli insegnamenti di Mary Stark Whitehouse, hanno avuto sviluppo due principali filoni di ricerca, molto simili tra loro. Uno fa riferimento al lavoro di Joan Chodorow, l’altro al lavoro di Janet Adier. Joan Chodorow, analista junghiana e danza-movimento terapeuta, ha inserito la danzamovimento nel setting analitico junghiano, considerandola una delle possibili modalità attraverso cui può attuarsi l’immaginazione attiva. Secondo Joan Chodorow, nel dialogo con il proprio inconscio attraverso il movimento si verificano due polarità opposte che sono quella del muoversi volontariamente e secondo un fine definito, movimento intenzionale, e quella del movimento che nasce da una sensazione e/o da un’immagine, priva di scopo funzionale ovvero semplicemente espressiva, esperienza dell’essere mosso. Nella danza movimento, il setting contenitivo è mediato dalla presenza del terapeuta testimone dell’esperienza, la quale è interamente condotta dalla persona che si muove. Janet Adler, danza-movimento terapeuta, ha portato avanti gli insegnamenti di Mary Stark Whitehouse intendendo l’esperienza del movimento come modalità primaria per dare forma all’inconscio. Il movimento autentico è la relazione tra una persona che si muove ed una persona che testimonia quel movimento. Le parti segrete, imbrigliate dagli efficienti meccanismi di difesa che, in qualche modo tutelano e preservano l’individuo dalla paura dell’autodistruzione, vengono espresse, risignificate, integrate. Corpo e psiche si compenetrano avvicendandosi nella danza in cui il corpo si muove ed è contemporaneamente mosso nella scoperta/rivelazione di contenuti trigenerazionali. Si può così affermare che l’immaginazione attiva mette in relazione l’unità corpo-mente rendendo possibile un’esperienza di integrazione lì dove l’inconscio si rende consapevole e trasformabile. Nell’esperienza del muoversi e del lasciarsi muovere è la materia stessa del corpo fisico che viene plasmata dalle immagini della psiche e che a sua volta dà loro forma. Il corpo si arrende al movimento diretto dall’inconscio mentre si mantiene vigile ed osserva e guida secondo il punto di vista della coscienza. L’immaginazione attiva può essere praticata solo se si dispone di un Io sufficientemente solido e se si è già avviato un processo di differenziazione psicologica. Si può fare esperienza di lasciarsi coinvolgere da un’immagine e di esplorarla nelle sue qualità attraverso il movimento, entrare nell’ascolto delle emozioni e sensazioni suscitate da tale immagine, tenendo pur presente di non essere un tutt’uno con quell’immagine.
Secondo la suddivisione proposta da Marie-Louise von Franz (1978), psicoanalista junghiana, l’immaginazione attiva si divide in quattro fasi distinte. Il primo passo consiste in un’attività di rilassamento in modo da favorire lo svuotamento della propria mente dai processi del pensiero dell’Io. Si sospende il pensiero critico, le obiezioni, le interpretazioni, le valutazioni poiché creano continue interferenze alla libera espressione. La coscienza infatti interviene continuamente per correggere e negare, e in ogni caso non è capace di lasciare che il processo psichico si svolga indisturbato. E’ necessario creare una condizione simile allo stato in cui si giunge a scoprire qualcosa di se stessi proprio perché al momento lontani da se stessi, ovvero disinvestiti di aspettative e di sovrastrutture che cercano somiglianze tra ciò che si esperisce e le esperienze pregresse. L’attenzione rivolta all’ascolto ricettivo sensoriale, allo svuotamento della significazione cognitiva, consentono di poter entrare in relazione con il mondo immaginario ed emozionale, veicoli-ponte per il dialogo tra l’esperienza cosciente e l’inconscio. “Ripulire” la mente da pensieri e aspettative dettate dai pregiudizi, predisporsi all’attività con l’animo di un bambino, nuovo al mondo che fa esperienza del mondo. Spostare l’attenzione dal pensiero al proprio corpo e al sentire ciò che in esso avviene, permette di cambiare punto di vista e di riflessione. Dove e come il corpo si trova? Cosa percepisce attraverso i sensi? Concentrare l’attenzione sulla propriocezione, su quanto accade al corpo e nel corpo favorisce l’emersione di una qualità specifica della sensazione, legata ad un’immagine o ad una emozione che giunge spontanea e si fa strada dall’inconscio, si sviluppa e si trasforma in un’azione iniziale, si arricchisce di dettagli e si evolve, diviene movimento espressivo. Il terapeuta segue in ascolto attivo, nel ruolo di testimone silente, che accoglie e partecipa all’esperienza interferendo il meno possibile. L’esperienza sarà poi condivisa, al suo termine, con il terapeuta testimone, che ascolterà il racconto verbale del vissuto nella danza, così da completarne e comprenderne il significato astenendosi da interpretazioni, indicazioni o suggerimenti. Nella relazione terapeutica testimone e danzatore possono vedersi reciprocamente, ristabilendo una situazione di rispecchiamento che permette l’incontro di se stessi attraverso l’incontro con l’altro. Lo spazio di azione è il luogo per liberare il contenuto inconscio, conoscerlo e dare ad esso nuovi significati, trasformandolo. Il corpo e il suo movimento possono favorire l’emersione di immagini, così come le immagini possono suggerire al corpo l’assunzione di forme. I segreti e le sue manifestazioni somato-psichiche restano sospesi finché prigionieri dell’inconscio, diversamente divengono conoscibili e trasformabili se trovano una via d’espressione e la danza è una delle vie percorribili.
BIBLIOGRAFIA
Chodorow J. (2004). Danzaterapia e psicologia del profondo. Milano: Red Edizioni
Jung C.G.(1980). La funzione trascendente, in Opere, Vol. 8. Torino: Boringhieri
Von Franz M-L. (1978). L’immaginazione attiva, in Rivista di psicologia analitica, nr. 17.