Adolescenza: una doppia crisi

di Valerio Canelli

immagine Canelli

La più bella traduzione in immagini della condizione adolescenziale e delle sue contraddizioni ( di quel voler diventare e nello stesso tempo voler restare) mi sembra una piccola scena del film “C’era una volta in America” di Sergio Leone. Descrive, come solo l’arte può fare, il giovanissimo protagonista alle prese con un mondo per lui nuovo: la sessualità, con tutte le sue connessioni con il corpo, la propria immagine, il gruppo, l’identità. Il tutto simbolizzato dalla scelta tra una “Charlotte alla panna” e una ragazzina disponibile in cambio del dolce.   Un’ attesa troppo lunga sui gradini della scala con il dolce sulle ginocchia, il travaglio interno del protagonista, fanno oscillare la scelta varie volte, fino a che due dita affondate nella panna e avidamente portate in bocca non lo convincono che il piacere di mangiarselo tutto è (ancora) irresistibile rispetto all’altro. La “fuga” precipitosa con la bocca sporca di panna, all’apparire della ragazza, mi sembra un concentrato di psicologia difficilmente esprimibile in altro modo.
Possiamo immaginare che già nella prossima occasione quello stesso ragazzo farà forse una scelta diversa, orientata verso la crescita. Ma quello che ci chiediamo, da persone che si occupano di come vanno queste cose, è: di cosa c’è bisogno perché un adolescente riesca a fare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e poi verso la successiva individuazione del giovane adulto?
Qualche giorno fa, lavoro in un Servizio di Neuropsichiatria infantile, sono stato chiamato dal Reparto di Pediatria per una consulenza riguardante una ragazza di 13 anni ricoverata da alcuni giorni con diagnosi di depressione. Cosa emergeva al colloquio con la ragazza ed i genitori? Una recente esperienza negativa con un ragazzo, una difficoltà ad allacciare amicizie, un rapporto con la scuola poco soddisfacente. Lei stessa esprimeva sensazioni di inutilità, di insicurezza e paura ad affrontare un futuro privo di interesse, solo fonte di preoccupazioni ed angoscia. La conseguenza evidente era una frenata nell’evoluzione della ragazza: ritiro dalla scuola, dalle amicizie, rapporto esclusivo ed emarginante con il ragazzo attuale. Nei successivi colloqui però , qualcosa di più significativo permetteva di ampliare il contesto e rendere più chiaro quanto sembrava inesplicabile centrando l’osservazione solo su di lei. Da qualche anno , e sempre più spesso, i genitori ( che mi avevano parlato con grande disponibilità e competenza di come la figlia “era fatta”) avevano forti contrasti tra loro fino ad arrivare alle soglie della separazione. Ma in coincidenza con la manifestazione delle difficoltà della figlia questi litigi si erano calmati e l’atmosfera a casa era più tranquilla. Questo dato permetteva di correlare i due processi evolutivi (della famiglia e dell’adolescente). Il “significato relazionale del sintomo” in questo senso è un modo per integrare le difficoltà presenti in ambedue; in altre parole un adolescente può “utilizzare “ il proprio momento critico (assolutamente normale nella fase adolescenziale) per cercare una soluzione al problema che intuisce nei genitori o nella famiglia e così contribuire a rendere la propria crisi (e quella dei genitori) ancora più profonda. Nella situazione su esposta la ragazza con il suo malessere distoglieva i genitori dalla loro crisi attirando su di sé l’attenzione. Questo “gioco familiare” (Selvini Palazzoli M. et al. 1988) può irrigidirsi rendendo impossibile l’evoluzione sia dell’una che degli altri, in quanto rapidamente tutte le energie ed i comportamenti iniziano ad essere centrati esclusivamente sui sintomi che assumono una funzione stabilizzante di tutto il sistema.
Ho voluto usare questi due esempi per far emergere dalla loro”differenza” (come la intende Bateson ,1979) quello che ritengo il punto centrale del modo in cui l’adolescenza è osservata in un’ottica sistemico-relazionale: la correlazione di diversi livelli (individuale, familiare, sociale) e la loro influenza reciproca. In altre parole sottolineare un aspetto spesso trascurato, la complementarietà di due processi evolutivi paralleli e la necessità che anche la famiglia , come l’adolescente, deve trasformarsi.
Penso sia esperienza frequente per chi si occupa di adolescenza sentire frasi come “non sappiamo proprio cosa sia capitato a nostro figlio, non è successo niente di nuovo, ma lui si comporta in modo così diverso!” oppure “ è cambiato, deve essere l’adolescenza” , come se tutto ciò si verificasse nel vuoto e non in un contesto familiare e sociale che viene fortemente destabilizzato dalle spinte emotive ed intellettive che accompagnano l’adolescenza. Tale contesto dà sempre una risposta, anche quando tutto appare immobile ed a cambiare sembra solo l’adolescente: il primo assioma della comunicazione( Watzlawick P. et al. 1967) infatti afferma “ non si può non-comunicare”, quindi anche il restare immobili è una comunicazione forte (basti pensare quanto comunica un eremita che si è imposto il silenzio e la solitudine rispetto a tanti anonimi predicatori scomparsi invece dalla memoria storica). Pertanto anche ammettendo che il contesto familiare possa restare uguale a se stesso, funziona comunque come altro polo rispetto ad un adolescente che cresce e ciò basta, in quanto attivatore di differenza, a produrre informazione e significato. In questo senso la “mente” dell’adolescente include una più vasta “ mente” di cui essa è solo una parte, un sottosistema. Le altre componenti sono la famiglia e la società che interagiscono in modo circolare con quella dell’adolescente. In particolare la famiglia (interfaccia tra adolescente e società) si può considerare la “mente” che, se da un lato può riuscire ad integrare emozioni e significati favorendo le nuove identificazioni dell’adolescente, dall’altro può ritardare, impedire, questa evoluzione agendo come vero e proprio freno.
In questa co-evoluzione è utile fermare l’attenzione anche su ciò che in quella fase del “ciclo vitale” (Haley J. ,1973) accade alla coppia genitoriale. E’ un momento critico in quanto vengono a convergere più cambiamenti emotivamente significativi quali la perdita della giovinezza, spesso la perdita reale dei propri genitori, la stabilità familiare e lavorativa ( che può portarsi dietro un appagamento che facilmente sconfina in un’altra perdita: quella degli obiettivi e degli ideali giovanili). Ma la perdita più importante è collegata al ruolo genitoriale, fino a quel momento giustificato dalla dipendenza quasi totale del bambino e che ora è messo costantemente in discussione dalle forti spinte di autonomia del figlio adolescente sostenute dallo sviluppo corporeo, emotivo (ricerca di investimenti in altre persone al di fuori della famiglia) e, non ultimo intellettivo (il raggiunto stadio del pensiero astratto rende possibile operazioni logiche di confronto che rendono più facile una “ separazione “ dai genitori). Queste forze si manifestano con una capacità di azione che, per la prima volta, permettono al figlio di uscire concretamente nel mondo esterno. Ma nello stesso tempo questo affacciarsi all’esterno è resa (paradossalmente) possibile proprio dalla solidità del legame con i genitori (l’individualità si realizza solo nella relazione) e con la loro speculare possibilità di tollerare questo distacco.
Parliamo di un “tempo” quindi che si sviluppa, ancora, su due piani paralleli e strettamente interagenti. Generalmente si tende a centrare l’attenzione solo sul versante dell’adolescente, ma questo momento è in effetti iniziato molti anni prima con il distacco dei genitori dalle proprie famiglie d’origine. I genitori si ritrovano soli, non solo e non tanto nella quotidianità, ma nel doversi riconfrontare nella coppia ed allora riemerge tutto il carico di tensioni latenti e conflitti irrisolti fino ad allora coperti dalla necessità di occuparsi di un figlio piccolo da accudire, ma anche mediati dalla sua presenza costante (il cosiddetto “triangolo perverso”). Il ciclo vitale resta dunque un concetto cardine per interpretare le difficoltà di una famiglia con figlio adolescente.

Il “corpo” dell’adolescente cambia e provoca una tempesta emotiva che entra in risonanza con le risposte provenienti dal contesto familiare e sociale che si confronta con un corpo non più dipendente, ma irrequieto e seduttivo che mette in difficoltà genitori alle prese con le modifiche del proprio corpo. Anche in questo senso, quindi, il “corpo” dell’adolescente è parte di un “corpo familiare” più ampio:” come la crescita del primo è permessa e assecondata dall’elasticità della pelle (confine del corpo) così anche i confini familiari (che regolano il sistema) devono essere flessibili per permettere la riorganizzazione familiare “(Baldascini L.,1993). Confini chiari per impedire reciproche intrusioni, ma sufficientemente permeabili da non compromettere il bisogno di appartenenza.
Nelle situazioni problematiche il “tempo” sembra arrestarsi e così il ciclo vitale della famiglia, l’adolescente può smettere di studiare, può tagliare i ponti con i coetanei, può avere sintomi psicosomatici; la famiglia, da parte sua, si arresta alla fase di accudimento di un bambino piccolo. I disturbi e le devianze adolescenziali, quindi, rivelano una difficoltà nel processo evolutivo dell’adolescente e parallelamente della famiglia: sono “emergenza soggettiva nell’adolescente di un disagio che è in corrispondenza con una disfunzione dell’intero sistema familiare” (Cancrini L., 1987).
Le caratteristiche sintomatologiche sono peraltro molto significative in questo senso: anoressia, tossicodipendenza, comportamenti anti-sociali, suicidio, hanno grande rilevanza sociale e ricevono un forte feed-back dal contesto e mi sembra utile sottolineare l‘importanza di valutare bene quali risposte sociali vengono date e quale effetto sortiscono: quanto l‘incapacità di integrare queste spinte possa ulteriormente indirizzare l‘adolescente verso identificazioni con gruppi reali (come ad es. i teppisti da stadio) o “virtuali” (come chi getta i sassi dai cavalcavia autostradali) , che soddisfano la necessità di appartenenza dell‘adolescente, ma solo sul versante dell‘identificazione-contro. Allo stesso modo un eccesso di adesione ai modelli genitoriali e sociali è analogo segno di carente interiorizzazione dei modelli (timore di abbandonarli).
Forse questo concetto dell’integrazione di spinte creative caratteristiche di ogni fase di cambiamento, può essere la chiave interpretativa di ogni discorso sull’adolescenza ed anche una possibile risposta agli interrogativi su come affrontare la contrapposizione apparentemente inconciliabile tra adolescente, famiglia e società. D’altra parte l’adolescenza, per essere “normale” deve essere ribelle ed esagerata, cioè “anormale”.

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