di Alessandra Mosca

Negli ultimi mesi, il mondo del gossip e dei social media è stato travolto dal cosiddetto “caso Pandoro”, che ha visto protagonista l’influencer più famosa d’Italia. La vicenda ha sollevato numerose discussioni non solo sulla figura dell’influencer, ma anche sulla gestione delle donazioni, regali, sponsorizzazioni e campagne di beneficenza spesso definite “farlocche”. Ma la domanda che in molti si sono posti è: perché le persone seguono gli influencer?
La risposta che ha sorpreso molti è che “piacciono perché ispirano fiducia, vengono percepiti come persone reali e genuine”. Si presentano come figure quotidiane, che comunicano direttamente con il pubblico attraverso i social media, in un rapporto che sembra diretto e privo di filtri. Ma è davvero così semplice costruire un legame basato sulla fiducia?
La riflessione da porci è quanto sia realmente difficile stabilire un legame di fiducia, e se basti davvero un video in cui un’influencer mostra un prodotto promettendo miracoli, che sia una crema miracolosa, un capo d’abbigliamento o un mobile alla moda. Siamo sicuri che tutto questo ruoti attorno alla fiducia? O forse ci siamo tutti abituati a una dimensione in cui lo sforzo, l’impegno e la ricerca sono stati messi da parte?
Oggi, è diventato comodo affidarsi agli influencer. Invece di fare la fatica di informarsi, di confrontare prodotti e scegliere in base alle proprie reali esigenze, è più semplice lasciarsi rassicurare da una bella immagine e da parole suadenti. Pensiamo, ad esempio, alla scelta di un passeggino: un oggetto che richiede una riflessione attenta sulle proprie necessità, come lo spazio a disposizione, il tipo di terreno su cui si passeggia o l’ingombro nel bagagliaio dell’auto. È un processo che richiede tempo e attenzione, e che, se affrontato con superficialità, può portare a scelte sbagliate.
E qui entra in gioco un’altra considerazione: affidarsi agli influencer non ci solleva dalla responsabilità delle nostre scelte, ma spesso preferiamo credere che sia così. “Nessuno ci obbliga a comprare il passeggino suggerito dall’influencer di turno”, si potrebbe obiettare. Eppure, il problema non è tanto l’acquisto in sé, quanto l’uso irresponsabile dei social media.
I social dovrebbero essere strumenti di informazione e ispirazione, ma sempre più spesso vengono utilizzati per evitare la fatica di pensare e prendere decisioni consapevoli. Invece di essere protagonisti delle nostre vite, ci affidiamo alle narrazioni di persone che ci raccontano la loro quotidianità, a volte con dettagli costruiti ad arte. Così, finiamo per seguire per anni le vicende di un’influencer che ci parla della sua “meravigliosa” vita familiare, senza sapere che dietro a quella narrazione perfetta ci sono, talvolta, montature e invenzioni.
In definitiva, il caso Pandoro ci invita a riflettere sul ruolo degli influencer nella nostra vita quotidiana e su come scegliamo di interagire con i social media. Forse è tempo di recuperare una maggiore consapevolezza e di ritrovare il piacere di essere noi stessi gli artefici delle nostre scelte.